domenica 13 gennaio 2013

La furia del Titano- prima parte



In una bella e fertile vallata, ai confini con una maestosa catena montuosa, circondata da larghi campi fioriti e specchi d'acqua, sorgeva la bellissima città di Esmelia, capitale dell'omonimo e prestigioso regno. La città aveva una solida e imponente cinta muraria, fatta di una particolare pietra che rassomigliava al marmo prismatico e che la faceva risplendere di un fulgido chiarore sia il giorno che la notte, era di dimensioni contenute, ma non piccola. Il suo cuore era il grande palazzo reale, che stava al centro di una grande piazza, circondato da templi, fontane, edifici amministrativi, un grande museo e le magnifiche case dei nobili. Tutt'intorno, a livello più basso, stavano sei quartieri, ognuno dei quali non troppo grande e più semplice rispetto al complesso centrale, ma comunque fatto da belli edifici sia privati che pubblici larghe e ordinate vie adornate da alberi, negozi e botteghe varie. Tutti gli edifici pubblici e il palazzo reale erano fatti della stessa pietra usata per le mura, le case del popolo e le vie erano di una bella e linda pietra bianca, oltre che in legno. La grande porta principale era in legno e ottone dorato. ai lati di questa, in fila lungo un viale che conduceva alla città, c'erano la statue dei re che avevano governato la città, i re della dinastia degli Emerovei, che avevano creato quel regno. In lontananza, come a precludere la strada verso la grande città, c'era il piccolo villaggio di Venner, fatto di edifici semplici ma ordinato e grazioso. Il popolo del regno di Esmelia, a dispetto della sua prosperità, era in agitazione e il villaggio era stato evacuato, perchè si doveva fronteggiare l'invasione di Armares, spietato e potente tiranno figlio di un Titano. La grande porta della città si aprì, e ne uscì un nutrito contingente di cavalieri e fanti guidati da un giovane uomo rivestito di una fulgida armatura con ricami d'oro e una bella tunica rossa e blu, questi era il re di Esmelia Merovis. Era un uomo non troppo alto, giovane, con corti ma folti capelli biondi, carnagione chiara e occhi azzurri. Appariva sicuro e baldanzoso, ma i suoi occhi tradivano una grande inquietudine. Nei pressi di Venner il contingente si unì ad altre truppe di soldati, arceri, fanti, domatori di bestie, inviati dai re dei regni alleati. Si costituì così un esercito in apparenza forte e ben equipaggiato. L'esercito si mosse al comando di Merovis e attraversò campi e pianure fino a che arrivò ai confini del regno, davanti ad una grande collina dietro la quale proveniva un rumore indistinto come di zoccoli di cavalli, marce di soldati, barriti e ruggiti e un vociare chiassoso. Poco dopo un'apparizione terrifica e surreale si presentò all'esercito di Esmelia, la congrega infernale, una moltitudine di uomini, animali selvaggi e mostri dei più strani tipi che scendevano dalla collina in assetto di guerra. I sentimenti che quella marmaglia assortita suscitava nel cuore dei soldati spaziavano dall'orrore al comico. Merovis osservò bene i componenti di quello strano esercito, vedendo in esso prima di tutto mostri di tipologia variegata: uomini coccodrillo con la loro grande testa, coda da rettile e sibilante lingua biforcuta, orchi dall'aspetto deforme e marcescente, creature dall'aspetto barocco e grottesco senza testa e con un gran viso stampato nel nudo torso. specie di ballerine armate di spada, con tanto di tutù e scarpine, ma con testa scheletrica e piccola, zombi che sembravano cadaveri scorticati. Poi c'erano anche animali selvaggi e feroci di ogni fatta: orsi, lupi, leoni e tigri, elefanti, giraffe, grossi gorilla, leopardi, linci e ippopotami. Infine c'erano anche gli uomini: alcuni sembravano di etnia Karveza, abbigliati con le loro caratteristiche vesti, altri ancora erano di altra etnia e armamento. C'erano addirittura uomini travestiti da donna, finemente truccati e acconciati, vestiti con abiti sgargianti, che avanzavano intonando canzoni volgari e brandivano mazze dalla forma fallica e scudi a forma di vulva, che sbattevano le une contro gli altri come a simboleggiare il coito. C'erano infine donne vestite da uomini, che sotto un corpetto di metallo avevano capelli corti, vesti maschili, baffi finti e copricapo a coppola. Un orrido e grottesco carnevale del male che avanzava sicuro verso l'esercito di Esmelia. Al vedere tanta informe follia le truppe di Merovis ebbero un sussulto d'orrore, alcuni vomitavano, altri imprecavano, altri ancora piangevano o ridevano, lo stesso re perse la sua apparente sicurezza rivelando il suo reale stato d'animo con il pallore e i fremiti. Ma ad un tratto si levò una voce possente che disse: Non perdetevi d'animo, contrastate quest'ammasso di bestiale follia in nome della libertà. Fra i soldati di Merovis si fece strada come una specie di luce che si avviava verso il re, erano due bei cavalieri fatei che cavalcavano splendidi unicorni fantasma. Erano di quella particolare razza di guerrireri maghi nati ufficialmente per proteggere gli uomini dai pericoli più gravi. I due in questione si chiamavano Sedrenar Mellit e Mircas tennent, il primo più maturo, aveva capelli fulvo castano di lunghezza media, occhi blu, e alta statura, il secondo, più giovane, aveva capelli biondi e mossi medio lunghi, occhi castani e statura più bassa. I cavalieri magici si accostarono al re dicendogli: Non temete maestà, siamo venuti a sostenervi. Il re rispose: Maestri di magia buona portateci aiuto, fate qualcosa, perchè le porte dell'inferno si sono aperte vomitando i loro orrori contro di noi. I cavalieri dissero: Maestà, non temete il nemico, ma ciò che può fare al vostro regno. Ricordate che siete re figlio di re, appartenente alla gloriosa dinastia degli Emerovei. Quanto a noi, metteremo a vostra disposizione le nostre arti per donarvi la vittoria. Improvvisamente però, un ruggito tremendo e minaccioso attirò l'attenzione di tutti. In mezzo alla congrega infernale si fece strada una figura gigantesca avvolta da un lungo manto e cappuccio che poi si tolse e gettò via rivelando chi davvero era: Armares in tutta la sua bestiale potenza si era messo alla guida del suo esercito. Era questi un gigantesco uomo leone alto almeno 8 metri, con una criniera fulva con strisce blu, che incorniciava un muso feroce e zannuto. Il suo corpo, pur essendo umanoide, aveva comunque pelo e artigli leonini, vestiva una specie di panoplia, composta da una corazza scintillante e decorata, bracciali e schinieri ed una tunica violacea che dal busto scendeva sino alle ginocchia, aveva anche una coda blu, con una estremità che rifulgeva di una luce elettrica. I suoi occhi erano fiammeggianti di una sinistra luce giallo-verde, e davano l'impressione di poter trafiggere ciò che fissavano. Il titano si mise a guardare lo schieramento nemico, compiaciuto del terrore che incuteva.  I due cavalieri fatei, esterefatti dal sinistro potere emanato dal personaggio esclamarono: Per la gloria del Sole Invitto! Mentre Merovis si sentì mancare dalla paura, e accasciandosi sul suo bianco destriero iniziò a pregare e ansimare. Guardando la possente figura del titano Mircas disse ammirato: Armares, figlio di Zernames signore delle bestie, nipote di Vardas il gigante fantasma iniziatore del nostro ordine, di Zelgadia Titanide della luna e di Zerdas gigante demolitore di monti, di Veesnar drago mangia uomini. Uno dei nemici più terribili e difficili da affrontare. Visibilmente scosso dal terrore il re si appoggiò tremante a Sedrenar e iniziò a lamentarsi accoratamente: Mio Dio! Io sono giovane, troppo per questo; ho 23 anni ed è da appena 2 anni che sono salito al trono. Quella orrenda bestia è venuta per cavarmi l’anima fuori dal corpo e distruggere il mio regno.  Il destino Non avrebbe potuto essere più infame. Adirato Sedrenar rispose: Non mi pare il caso di declamare la discendenza di quel demone, ne di iniziare lamentazioni funebri. Quel mostro è in parte un uomo come noi, figlio di una donna sola e infelice che abitava nei boschi. suo nonno era un boscaiolo e sua nonna la figlia di un tessitore. Se si è potuto sconfiggere suo padre che di umano non aveva nulla, tanto più si potrà battere lui. Improvvisamente un messaggero di Armares corse verso l’esercito nemico domandando di parlare con il re, giunto davanti a lui gli disse: Merovis, il mio padrone Armares ha deciso di essere magnanimo con te, di farti vivere per sempre e di lasciare sopravvivere il tuo regno. In cambio però tu devi sottometterti ed ottemperare ad alcune condizioni: dovrai donare a lui ogni anno i due terzi dell’oro e dei raccolti, dargli in pasto il tuo figlioletto primogenito, lasciargli prendere uomini, donne e bambini come schiavi ed entrare nella tua città con una catena d’oro al collo, condotto dal mio signore. Se accetterai nessuno toccherà il tuo regno e il mio padrone ti donerà l’immortalità, non invecchierai né morirai mai, né per malattia né per spada. Se rifiuterai tu e tutto il tuo popolo sarete votati alla distruzione oggi stesso. A te la scelta. Merovis, al sentire quelle condizioni si sentì inorridire e d’istinto si voltò verso Sedrenar. Il cavaliere fateo gli disse: E così quel mostro è venuto per ridurre il tuo popolo alla miseria e schiavitù, per fare di te il suo zerbino e divorare tuo figlio, e per giunta maschera tutto questo con la magnanimità? Non lasciarti ingannare, coloro che da lui vengono benedetti diventano mostri a immagine e somiglianza di quei demoni che fanno parte del suo esercito, e per giunta non possono più pensare e volere per conto proprio, perdono queste facoltà divenendo totalmente soggetti a lui. Il magnifico regno ereditato dai tuoi padri, il tuo orgoglio di re, la tua anima, la carne della tua carne erede al tuo trono, tu perderesti tutto questo e ti lasceresti tramutare in un mostro per compiacere quel demonio? No, io non ci credo. Mircas intervenne dicendo: Mio re, non potete accettare queste condizioni,  sarebbero solo la rovina vostra e del vostro regno. Siate uomo risoluto e obbiettivo, dovete combattere per proteggere Esmelia, purtroppo non avete scelta. Riflettendo sulle orribili condizioni di Armares e sulle parole dei cavalieri fatei Merovis prese la sua decisione, si rivolse al messo e gli disse: Puoi dire al tuo padrone che io, Merovis Hernan Hemeroves, re della dinastia degli Emerovei non sono mai stato asservito a nessuno, né mi asservirò oggi a lui.  Se davvero vuole il mio regno, il mio popolo e mio figlio deve venire a prenderli, e potrà metterci sopra la sue luride zampe solo quando io sarò morto!  Il messo allora rispose: Così hai scelto morte, per te e tutto il tuo paese, poi si allontanò.




Storie di riferimento:
La tremenda profezia


 

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