mercoledì 28 settembre 2011

CADUTA SATELLITE



24/09/2011. Ore 5,30 AM circa Canada. Buongiornooooooooo!!!! Sono il satellite UARS, vengo in pace (anzi in pezzi).

martedì 19 luglio 2011

LA LADRA DI ANIME


Era il 1896 e la vita scorreva serena a Morton, piccolo paese dell'Inghilterra meridionale. Gli abitanti attendevano alle consuete occupazioni: ricavando il pane dal loro duro lavoro, sperimentando le piccole gioie e i dolori di sempre, vedendo crescere i loro figli e seppellendo chi se ne andava.
Fra tutti gli abitanti però ce n'era uno che mancava: William O' Connor, il cacciatore di taglie, era scomparso il giorno in cui si era recato ad indagare sui delitti avvenuti in un piccolo villaggio vicino e nessuno lo aveva più rivisto. In verità William aveva deciso di andarsene dopo la notte più terribile e al tempo stesso più bella della vita, la notte in cui aveva affrontato Draikan e conosciuto la bellissima Marisol. Morto il principe dei vampiri, tutti i vampiri, i demoni e le creature del male avevano deciso di mettersi alla sua ricerca per vendicarlo e avrebbero devastato per rivalsa il suo villaggio se lo avessero trovato laggiù.
Per anni aveva vagato come un senza tetto per l'Europa finchè spinto dalla disperazione decise di bussare alle porte di un convento per chiedere aiuto. I monaci vedendolo magro come un chiodo e ridotto come un selvaggio ebbero pietà di lui e decisero di prenderlo, ripulirlo, rifocillarlo, e medicarlo. In cambio William li ripagò facendo lavori vari per loro. Ma un giorno i monaci scoprirono la sua origine soprannaturale, perchè un operaio appiccicato al tetto della chiesa per lavori di restaurò agli affreschi perse la fune che lo reggeva e cadde giù, allora William spiccò un salto impossibile per chiunque e prese al volo il malcapitato, e compiendo una serie di piroette cadde in piedi illeso. Alcuni monaci gridarono al miracolo, altri invece sospettarono di possessione diabolica, mentre il priore spaventato decise di trovare per lui un'altra sistemazione, parlò con un ricco mercante di nome Marcel Dubois, del vicino villaggio di Oradour sur Rave e gli avviò William come cameriere. Così William si trasferì nel villaggio in questione ed entrò alle dipendenze del signor Marcel, il poveretto inizialmente non si sentì affatto a suo agio, perchè il padrone aveva un carattere cattivo, e quando era arrabbiato urlava da far imbiancare i capelli. Come se non bastasse la gente lo guardava in cagnesco e lo derideva per il suo accento inglese. Fra tutti però c'era una persona che lo accolse benignamente, la giovane figlia del padrone una ragazza quindicenne di nome Melanie, a cui William ricordava un fratello maggiore morto anni addietro. Questa ragazza lo trattava con dolcezza, gli parlava, si divertiva a pettinarlo e nei rari momenti di riposo gli portava del tè e dei biscotti. Ma poco dopo il trasferimento di William, fatti spaventosi iniziarono ad accadere nel villaggio: pecore, buoi e persino cani iniziarono a scomparire, per essere poi ritovati fatti a pezzi su strani altari fatti di pietre, come se fossero stati sacrificati. Ma il peggio doveva ancora arrivare, infatti due bambini che si erano avventurati nel bosco vennero trovati morti, senza ferite ma bianchi come la cera e con strani disegni sul corpo.
Furono chiamati vari medici, ma nessuno di essi seppe fornire una spiegazione convincente del decesso, visto che non era dato trovare traumi o lesioni e non c'era spiegazione per il colore e i disegni. I gendarmi, le autorità del paese e alcuni ispettori indagarono sull' accaduto, perlustrarono la foresta e misero in carcere alcuni sospetti, ma non vennero a capo di nulla. William iniziò a temere che i suoi nemici notturni lo avessero trovato e stessero cominciando a colpire la comunità che lo aveva accolto, anche se di solito i vampiri non uccidono le proprie vittime in quel modo, preso dalla paura non volle uscire ad indagare ma anzi ogni notte si chiudeva nella sua camera pregando di non venire attaccato.
Altri bambini morirono e gli abitanti del villaggio caddero nel terrore, credendo che il diavolo in persona li stesse perseguitando. William osservò i loro funerali, le piccole bare bianche, la disperazione dei genitori, e nel suo cuore disprezzò profondamente se stesso, perchè quella gente stava soffrendo per la sua vigliaccheria, la notte dopo uscì deciso a cercare e affrontare la causa di quel male, tanto non poteva scappare in eterno. Subito avvertì l'odore di una creatura soprannaturale, diverso da quello dei vampiri e le altre creature affrontate in precedenza e seguendone le tracce vide una figura incappucciata in un manto nero che camminava per strada, le balzò addosso e la attaccò stendendola a terra e notò che si trattava di una bella donna, avvolta in vesti nere, adornata di strani gioielli e tatuaggi. William mollò la presa e la osservò attonito, ma prima che potesse chiederle qualcosa quella si trasformò in uno stormo di corvi e volò via. Fu allora che William comprese che il problema del villaggio non erano i vampiri o altri demoni, ma una strega, l'indomani si avviò verso una taverna e chiese se nel villaggio ci fosse mai stata una strega, si sentì rispondere che ce n'era stata una in effetti, una certa Clementine che era stata linciata dalla gente del posto per aver sedotto e ucciso un prete e aver portato il carbonchio nella comunità. Ma la sua morte era avvenuta solo per furore del popolo, le autorità non avevano emesso alcun procedimento contro di lei.
Il giorno seguente William si armò e si mise alla ricerca della strega, seguendo il suo odore si addentrò nei boschi adiacenti al villaggio, camminò parecchio finchè nei pressi di una fonte trovò una specie di altare con una palla di vetro che riluceva di una luce verde-azzurra. William si avvicinò e toccandola con una mano vide in essa il suo villaggio natale di Morton, si rese conto che quella doveva essere una sfera per la divinazione, ma quando tentò di adoperarla vide le facce dei bambini uccisi che urlavano di dolore e terrore. A questo punto capì con orrore che quella sfera traeva energia dagli spiriti dei bambini morti che vi erano stati imprigionati, e con un urlo si tirò indietro, ma sentì apparire alle sue spalle la strega artefice di quegli orridi malefici. Dopo un'attimo di terrore le disse: Sei tu la bestia che uccide i bambini del villaggio? E la attaccò per farla a pezzi. Ma la strega lo paralizzò con lo sguardo e lo legò ad un albero, gli rispose che era lei a fare del male ed aveva un buon motivo per farne, poi gli disse che non doveva temerla perchè non lo avrebbe ucciso; gli disse che lo conosceva perchè aveva visto nella sua sfera magica tutta la sua storia e decise di raccontare a lui la sua: si chiamava Vivianne ed era figlia della strega Clementine De Vierre che era stata uccisa dai compaesani anni prima. Sua madre non era affatto la strega cattiva e malefica descritta dagli abitanti del villaggio, bensì era una strega buona che aiutava tutti gratuitamente con i suoi rimedi magici, e si manteneva facendo la cameriera. Il prete che abitava al villaggio anni prima, di nome Robert D'angioux si era innamorato spontaneamente di lei ed era suo padre in quanto aveva consumato una relazione con Clementine peccando di sua volontà contro i suoi voti. Un giorno però, pentendosi delle sue trasgressioni, volle ritornare alla castità ecclesiastica lasciando la sua amante e precludendole ulteriori contatti, nonostante sapesse di averla ingravidata. La strega pur soffrendo molto per la decisione del suo amante, la rispettò e non cercò più la sua compagnia, almeno fin quando il prete si ammalò gravemente; fu allora che tornò da lui, implorandolo di permetterle di salvargli la vita. Il prete rifiutò dicendole che non voleva aver nulla a che fare con la magia, ma nell'estrema agonia tentò di chiamare Clementine, perchè voleva provvedere alla bambina che aveva generato col suo peccato lasciandole del denaro. I fratelli del prete però, avidi e corrotti non volevano che il patrimonio fosse spartito con una bastarda che neanche doveva venire al mondo, quindi gli impedirono di richiamare la donna e misero in giro la diceria secondo la quale Clementine aveva stregato il prete perchè mirava ai suoi beni, e quando questi se ne era liberato lo aveva fatto ammalare mortalmente per vendetta. Poco a poco la gente iniziò a dare credito a queste voci e quindi per paura smise di frequentare la strega e di ricorrere a lei per i suoi problemi. Di lì a poco vi fu in paese una epidemia di carbonchio che fece alcune vittime perchè al medico del posto mancavano i medicinali per curarla. allora i parenti del prete e altre persone maligne cominciarono a mettere in giro la voce secondo cui la responsabile era Clemantine arrabbiata perchè la gente la rifuggiva. Gli abitanti del villaggio, adirati per la disgrazia diedero credito alla calunnia e sfogarono la loro rabbia sulla strega, venendo a prenderla di notte e picchiandola fino a farla morire. La sua bambina non solo dovette assistere all'esecuzione, ma venne spogliata dei suoi beni e mandata a vivere con le fiere nella foresta, nella speranza che vi morisse.

"Quella bambina come sai sono io", disse la strega. "Sarei morta se non fosse stato per gli spiriti della foresta che mi hanno allevata e insegnato le arti di mia madre. Ora sono tornata per punire coloro che mi hanno tolto l'avvenire, distruggendo i figli dei loro figli che sono il loro avvenire, ecco perchè faccio questo."

Dopo due minuti di riflessione William alzò lo sguardo e rispose: "Dunque secondo te degli innocenti devono pagare, innocenti come lo eri tu allora! Quel che ti è accaduto è doloroso e terribile, ma cosa credi di concludere in questo modo, riavere tua madre, onorarne la memoria, avere giustizia per quel che ti hanno fatto? No Vivianne, stai solo diventando un mostro, il mostro che tutti credevano fosse tua madre.

Vivianne rispose: "Loro mi hanno fatta diventare così, sono loro i mostri, venuti nella notte a togliermi il poco che avevo, riempiendomi di paura e di odio e negandomi un avvenire. Come loro mi hanno tolto il mio futuro, così io sto uccidendo il loro".

William ribattè:  " Stento ad immaginare quel che devi aver provato a veder distrutta la propia infanzia in quel modo. Ma così tu stai diventando come e peggiore di loro, infliggi sofferenze a degli innocenti come lo eri tu a quel tempo per punire dei colpevoli che adesso non ci sono più. Trova un'altro modo per rifarti, questo è sbagliato."

"Basta così" Intimò la strega. Poi disse "Voglio farti un'offerta: unisciti a me e non avrai più bisogno di scappare da nessuno. Insieme potremo creare la stirpe più potente mai esistita sulla terra e regnare come signori. Dopo tutto tu dovresti comprendermi, pensa bene William, sei nato diverso e diverso morirai, non sei mai stato accettato dagli uomini e mai lo sarai. Smettila dunque di proteggere gli esseri umani e unisciti a me. Stanotte alle 12 in punto io sarò sulla collina accanto al bosco, se verrai buon per te, se no saprò che avrai rifiutato l'offerta e in questo caso peggio per te, dovrò eliminarti con tutti gli altri. Da ultimo considera questo: tu almeno hai avuto padre Dawson  e i suoi parenti che ti hanno aiutato a conquistare la tua umanità. Io ho avuto solo me stessa per sopravvivere. Se fossi cresciuto nelle mie condizioni cosa saresti adesso? Pensaci prima di trarre giudizi." Poi scomparve e William fu libero di muoversi.

William pensò bene a quel che la strega gli aveva detto, a quel che essa doveva aver provato in tutta la sua vita, ai vantaggi che avrebbe ricavato ad unirsi a Vivianne. Ma pensò anche al male che lei stava facendo a degli innocenti, per unirsi a lei doveva accettare di diventare un mostro,come quelli che aveva sempre combattuto; inoltre poteva veramente affidarsi anima e corpo ad una creatura così spietata, fidarsi di lei? La risposta era no. Tuttavia non se la sentiva di ucciderla, doveva esserci un altro modo per fermarla. Non uscì di casa e rimase tutta la notte nella sua camera. La mattina dopo dei gendarmi, accompagnati da una folla inferocita, fecero irruzione in casa del signor Dubois e lo trascinarono fuori per i capelli, riuscendo a stento a proteggerlo dalla gente che voleva linciarlo. L'accusa era chiara: molte persone lo avevano visto aggredire due contadini alle prime luci dell'alba, risucchiando loro la vita e riducendoli a mummie. Vana fu la difesa di William e lui venne picchiato, fustigato e rinchiuso in cella. Il malcapitato capì che Vivianne aveva agito prendendo le sue sembianze per far cadere le sue colpe su di lui e toglierlo di mezzo. Era stata lesta a realizzare le sue minacce, ma adesso lui doveva liberarsi perchè occorreva fermarla prima che facesse altre vittime. 
Quando un guardiano entrò nella sua cella per sfogare la sua rabbia, William lo ipnotizzò, lo spogliò dei suoi vestiti e lo mise al suo posto; poi camuffato uscì di prigione e si recò nei boschi per fare i conti con Vivianne. La trovò nei pressi della fonte e le disse: "Ascolta Vivianne, sono qui a tua disposizione, fa ciò che vuoi, se vuoi vendicarti, prendi la tua vendetta su me, oppure usami come meglio credi, ma lascia stare i bambini del villaggio, ti sei già vendicata abbastanza su quella povera gente."
La strega rispose: " Povero stupido quanto credi di valere? Quel che voglio è la mia vendetta e nessuno me la toglie. Ti sei liberato dalle catene, allora scappa; non pensare neanche di mettermi bastoni tra le ruote o ti elimino." Vedendo che non si poteva trattare con la strega William fu costretto ad affrontarla, ma la sua forza soprannaturale non gli fu d'aiuto perchè Vivianne lo circondò con delle nebbie malefiche che lo indebolivano e lo stordivano, poi lo prese alle spalle lo immobilizzò a terra e gli disse: "Sei stato uno stupido, avresti potuto divertirti con me. Quando ti avrò ucciso prenderò il tuo seme e realizzerò comunque i miei obiettivi. In questa storia chi perde sei solo tu, per i tuoi moralismi." Ma quando fece per tagliargli la gola con gli artigli ricevette un colpo di spranga alle spalle. Era Melanie che aveva seguito William di nascosto e sapendo tutto era giunta in suo aiuto.  Vivianne la prese per il collo, la sollevò da terra e iniziò a risucchiarle la vita. William, vedendo che Melanie stava per morire, con tutto le sue forze si liberò del sortilegiò e pugnalò Vivanne alle spalle. William la fissò negli occhi  morenti e le disse: "Perchè Vivianne, perchè me lo hai fatto fare?" "Evidentemente devo essere più umana di quanto pensi, rispose Vivianne. Sapevo quel che mi avresti fatto, potevo salvarmi uccidendoti la prima volta che mi hai trovata." "E perchè allora non lo hai fatto?"  "Perchè non volevo uccidere una persona così simile a me. Io e te siamo simili, la sola differenza è che tu puoi fare a meno di covare rancore, io purtroppo no." Disse la strega prima di morire. Dopo quel che era succeso William fu costretto ad andare via dal villaggio, portò con se il corpo di Vivianne, seppellendolo lontano, dove le sue vittime non avrebbero potuto dileggiarlo. Poi distrusse la sfera magica, liberando gli spiriti dei bambini imprigionati.  Era stato costretto ad uccidere un suo simile, per proteggere gente che lo odiava, in nome di ciò che era giusto. Ma era veramente giusto tutto ciò? Vivianne non aveva scelto di diventare ciò che era, era stata la passata generazione di paesani a rovinarla, distruggendo la sua esistenza, ferendo irrimediabilmente la sua anima e così preparando quella rovina per i loro nipoti. Il mercante Marcell riuscì a salvarsi, ma perse i suoi averi e lasciò il paese Ancora una volta William era solo e attanagliato dai rimorsi.


Questa storia è la continuazione del racconto Dhampyr, ecco il link alla storia originale:
DHAMPYR










martedì 12 luglio 2011

AVVERTIMENTO


Nell'anno 1997 avevo trovato un lavoretto che mi permetteva di guadagnarmi qualcosa e metterla da parte: assistevo un anziano prete di nome Don Bruno che non sapeva attendere alla sua casa. In pratica, nonostante gli impegni della scuola, io gli pulivo la casa, gli preparavo il pranzo, gli mettevo i capi in lavatrice e quando era malato dormivo a casa sua per prestargli soccorso in caso di malori improvvisi. Insomma facevo per lui quello che le badanti fanno per gli anziani, mi vergogno un pò a dire questo, ma ovviamente lui mi pagava bene e la mia situazione finanziaria non era all'epoca quella che è oggi. Verso sera gli preparavo la cena e quando lui aveva finito di mangiare "mangiava presto e leggero, un panino e una mela" allora ero libero di andare.
Una sera che avevo appena terminato di espletare il mio servizio, avevo la radio accesa e sintonizzata su Radio Maria, l'unica stazione che il prete volesse ascoltare in quanto si accordava, oserei dire a meraviglia, con le sue preferenze. Erano appena finiti i vespri e le meditazioni sulla Bibbia ed era iniziata una rubrica in cui si dava spazio alle storie della gente, in pratica gli ascoltatori telefonavano e riferivano le loro storie, i loro problemi o le loro gioie, chiedendo preghiere e incoraggiamenti. Tra i tanti che telefonavano parlando delle loro questioni, ci fu una donna di nome Concetta la cui storia mi colpì profondamente. Adesso cerco in buona fede di riportarla per come la sentii in quel tempo. Tenete presente comunque che è passato molto tempo e alcuni particolari potrebbero discordare dalla narrazione originale. Io posso scrivere solo quello di cui mi ricordo e preferisco non usare i veri nomi dei protagonisti. La donna telefonò, riferì il suo nome e la città in cui viveva e prese a dire: voglio comunicare al mondo intero la mia gioia e ringraziare apertamente Dio, che ha aperto gli occhi a me e mio marito sull'errore che stavamo facendo e che avrebbe segnato la vita nostra e di nostro figlio. Allora fra la conduttrice e Concetta si svolse la seguente conversazione:

Conduttrice: Allora Concetta dicci di questo grande errore.

Concetta: io e mio Marito Paolo abbiamo un bel bambino che si chiama Marco, solo adesso guardandolo negli occhi sappiamo che lui è la nostra ragione di vita e la nostra gioia più grande, per ben 5 anni come degli stupidi abbiamo rinunciato a questa gioia in favore dei miei suoceri, che come nonni volevano essere i protagonisti principali della sua vita.

Conduttrice: avete rinunciato, a vostro figlio, e perchè mai?

Concetta: vede io e mio marito siamo cresciuti entrambi con i nostri nonni. Io perchè sono rimasta orfana da piccola e di conseguenza sono andata con loro, mio marito perchè i suoi genitori amavano viaggiare il mondo, per lavoro e ambizione personale e non volevano mai il figlio con loro, perciò lo parcheggiavano dai nonni a tempo indefinito e venivano a trovarlo solo una volta ogni tanto o nelle feste comandate. Mio marito è stato molto solo nella sua infanzia, nonostante i nonni lo accudissero al meglio, non ha mai avuto quell'amore che solo una madre e un padre possono dare.
Ci siamo conosciuti all'università e ci siamo innamorati. Durante il nostro fidanzamento i miei suoceri non hanno mai voluto sapere molto di me e dei sentimenti di mio marito.

Conduttrice: che genitori affezionati! E poi?

Concetta: le cose però sono cambiate quando ci siamo sposati. E' stato allora che i suoi genitori sono tornati dicendo che noi avevamo il divino dovere di renderli nonni e dovevamo lasciare crescere il bambino con loro per il suo bene.

Conduttrice: ma tu pensa un pò, sono stati così carini con il nipotino che ne hanno persino preordinato la nascita! Certo diventare nonni è davvero una gioia, ma i figli dovrebbero venire perchè Dio li manda quando è tempo e perchè i genitori vogliono averli.


Concetta: faccio notare che a dire il vero, anche noi volevamo diventare genitori.Comunque la gioia di mio marito, per il ritorno di genitori assenti che aveva sempre voluto, era così grande che li assecondava in tutto e per tutto. Anche io da moglie e futura madre subivo la loro influenza, perchè era come se loro avessero una sorta di potere ipnotico.

Conduttrice: addirittura, ma non mi dire, e poi?

Concetta: quando nacque il bambino con grande gioia di tutti, i nonni furono gli unici ad aver diritto di dichiarare al mondo questa gioia. io che ero la madre venivo messa in secondo piano, mentre mio marito doveva esserne completamente escluso. Infatti non potè neppure partecipare al battesimo perchè sarebbe stata un'offesa ai suoi genitori.

Conduttrice: ma è inaudito! Negargli il battesimo del figlio. Non può essere, non ci credo.

Concetta: si fu così perchè mio suocero si era disinteressato di lui alla nascita, quindi mio marito non doveva interessarsi molto a suo figlio. Ma il bello, anzi il brutto doveva venire, difatti da quel momento in avanti i miei suoceri cominciarono ad emarginarci progressivamente, particolarmente mio marito.

Conduttrice: come cominciarono ad emarginarvi, per caso se lo presero tutto per loro e volevano impedirvi di vedere il piccolo, e che motivo avevano di emarginare il figlio?

Concetta: come previsto loro presero il bambino. Noi non osavamo ribellarci, li ritenevamo in diritto, eravamo come plagiati perchè mio marito voleva sottomettersi completamente per l'affetto che aveva sempre nutrito per loro. Non cercavano di impedirci di vederlo, quello no, perchè noi potevamo venire a trovarlo quando volevamo, e se noi non venivamo da loro, allora venivano loro da noi con il bambino, in più ci concedevano di tenerlo per qualche domenica, ma poi doveva sempre tornare da loro, anche se magari voleva restare. L'emarginazione stava nel fatto che loro dovevano essere gli unici a prendersi cura del bambino, gli insegnavano che i nonni erano la vera famiglia dei bambini, che i genitori avevano solo il dovere di aiutare i nonni e potevano vivere con il bambino solo quando non c'erano i nonni, che lui avrebbe dovuto ereditare il lavoro dei nonni, e che quando un giorno lui sarebbe divenuto genitore, avrebbe dovuto occuparsi principalmente dei suoi affari e regalare suo figlio a noi, perchè i nonni sono a loro dire 3 volte superiori.

Conduttrice: in pratica secondo loro, i nonni diventavano i genitori e i genitori diventavano i nonni e stavano già programmando psicologicamente il bambino perchè si adeguasse al loro pensiero.

Concetta: si ma crescendo il bambino vedeva la differenza fra lui e gli altri, andando all'asilo vedeva gli altri parlare del padre e della madre, mentre lui parlava dei nonni, e si sentiva chiedere dai compagni e dalla maestra se noi fossimo morti; tornando a casa domandava ai nonni come mai tutti vivessero con papà e mamma, e loro rispondevano che tutto il mondo aveva torto e loro ragione.

Conduttrice: veramente a me questa storia pare inverosimile, dì la verità Concetta, non è che avete avuto dei problemi che vi hanno invalidati a badare al piccolo e lo avevate affidato ai nonni per questo? Si sincera, telefonando a Radio Maria è come se fossi alla presenza del Signore.

Concetta: assolutamente no, andiamo d'amore e d'accordo e abbiamo un buon reddito, perchè mio marito è insegnante universitario e io segretaria. Abbiamo la domestica che si occupa  della casa e tornando a casa il pomeriggio abbiamo il resto del giorno libero. Se avessero voluto prendercelo per nostra invalidità avrebbero fatto bene, ma noi non abbiamo problemi nè di reddito nè di tempo, nè di coppia. Ma ancora non ti ho detto niente, senti un pò questa: dicevano di mio marito che era sempre all'estero per lavoro, quando in realtà mio marito è sempre stato a casa con me e non si è mai mosso, andavano alle feste e spargevano questa diceria, io ero raramente invitata, ma mio marito doveva sempre stare lontano, e quando ci rimaneva male loro erano felici e ridevano, particolarmente mio suocero, che gli diceva sempre: tu adesso ti stai sacrificando per me come giusto, un giorno tuo figlio rinuncerà alla gioia di essere padre per te, e ti darà un erede. Impara oggi questa dura lezione e saprai come comportarti in futuro con tuo figlio.
Sono state propio queste parole a far riflettere mio marito e aprirgli gli occhi, a fargli capire che non solo da piccolo loro gli avevano fatto mancare il loro appoggio e il loro affetto, ma adesso gli stavano anche facendo perdere la gioia di essere genitore.Allora abbiamo cercato consiglio presso gli amici e un prete, tutti hanno condannato il loro comportamento, dicendoci che questi non volevano fare i nonni, ma stavano facendo i genitori a nostre spese, per rifarsi dei loro fallimenti. Ma il bello è che ci dicevano di non procreare altri figli, perchè per loro sarebbe divenuto difficile allevarli e i genitori non devono tenersi i figli, devono sempre darli ai nonni.

Conduttrice: Quello che dici è inverosimile Concetta, stai parlando come se queste persone avessero fatto del loro nonnismo una vera e propia forma di tirannia, ma ti rendi conto?

Concetta: purtroppo si, è così ma un giorno mio marito e io abbiamo deciso di ribellarci al loro condizionamento e riavere con noi nostro figlio, anche se devo dire che è stato difficile perchè li ritenevamo superiori. E' stata battaglia feroce perchè non volevano ridarcelo, e quando hanno capito che non potevano più piegarci e se non ce lo lasciavano prendere li avremmo denunciati hanno iniziato a piangere e supplicare, particolarmente mio suocero ha supplicato mio marito dicendo che ce lo avrebbero fatto tenere tre giorni a settimana, di aver pietà di lui perchè Marco era la sua gioia più grande e toglierglielo voleva dire ucciderlo. Ma a quel punto le suppliche non valevano più, e mio marito si è ripreso Marco il quale gli ha subito gettato le braccia addosso e voleva venire di buon grado.

Conduttrice: e adesso come va, con il bambino e i tuoi suoceri?

Concetta: non posso descrivere  la gioia di avere con noi nostro figlio, giocare con lui, impartirgli regole, educazione e valori, metterlo a letto la sera. Mio marito si sta rifacendo di tutte le privazioni, lo porta con se a lavoro, lo porta al parco e a passeggio. Solo ora capiamo la gioia che loro volevano farci perdere, e volevano anche farla perdere a Marco, perchè se avessimo lasciato che lo programmassero a loro piacimento un giorno lui ci avrebbe ceduto suo figlio e a quel punto noi non avremmo potuto rifiutare perchè un bambino ti da tanta felicità. Un giorno avremmo anche noi fatto soffrire lui come loro hanno fatto soffrire noi, quindi meno male che li abbiamo fermati in tempo.

Conduttrice: e i tuoi suoceri come stanno reagendo?

Concetta: Si sono allontanati da noi e anche dal nipote, quando li venivamo a trovare, il bambino voleva abbracciarli e giocare con loro, ma loro lo trattavano con freddezza e di recente non accettano più visite e ci chiudono la porta in faccia e anche il telefono. Questo è indice di quanto davvero amassero Marco, volevano solo usarlo per le loro rivalse.

Conduttrice: ti confesso che mi riesce difficile credere a questa storia, di solito i nonni aiutano i figli e non cercano affatto di deufradarli dei loro diritti; comunque spero che il Signore vi dia forza e coraggio e vi aiuti a rimarginare le ferite, perchè fanno male. Vi auguro che troviate una via per venirvi incontro e ricuciate i rapporti familiari.


Concetta: voglio concludere dicendo una cosa: i veri nonni sono quelli che aiutano i figli a diventare bravi genitori, li rimproverano e li prendono a sberle quando si comportano irresponsabilmente con i nipoti e inoltre cementano i legami familiari creando unione, questi si sono superiori ai figli, perchè li fanno maturare.
Persone come i miei suoceri non sono così, non vogliono davvero fare i nonni, vogliono solo vendicarsi sui figli per errori che loro stessi hanno commesso. Nessuno li ha spinti a commetterli, li hanno commessi per perseguire i loro obiettivi, perchè mettevano al primo posto il loro egoismo e non hanno mai amato i loro figli. Non è stato il bisogno economico ad allontanarli dal contesto familiare perchè altrimenti lavorando si sarebbero sacrificati per i figli, per provvedere loro il necessario, e in questo caso le loro pretese sarebbero comprensibili. Queste persone vogliono inoltre che i figli un giorno si vendichino sui nipoti per quello che hanno fatto loro, sui nipoti che tanto dicono di amare, sottraendo loro il diritto alla cura della prole con la scusa del nonno. Se davvero amassero i nipoti non vorrebbero mai al mondo che figli facessero questo. Si deduce perciò che quello che davvero vogliono è trasmettere di generazione in generazione il loro egoismo e le loro rivalse. Tante famiglie non capiscono l'errore che fanno a mettere a capo gente così, noi lo abbiamo capito solo dopo tanto tempo. Vorrei che qualcuno imparasse dalla nostra storia e mettesse giudizio per tempo.

Conduttrice: vi auguro che la madonna preghi per voi e vidia, grazia, concordia, pace e serenità in famiglia.

COSI' SI CONCLUSE LA TELEFONATA, E IO MI MISI A RIFLETTERE, E ANCORA OGGI STO RIFLETTENDO!

sabato 9 luglio 2011

Attenzione, fovorisce l'insorgenza della fame!


A stimolare l'appetito a volte basta guardare delle belle immagini, come questa ad esempio. Il soggetto ritratto è così dolce che....personalmente lo metterei in forno.

mercoledì 6 luglio 2011

mercoledì 8 giugno 2011

QUATTRO PAROLINE.....in lettera


I funerali del signor Mauro Rossi erano appena terminati. Rassegnati, quasi incuranti e senza una lacrima i parenti si avviavano a casa; tanto sapevano che quell'uomo, vedovo da anni era malato da tempo e adesso aveva finito di soffrire.
Il suo unico figlio Giovanni, noto imprenditore si avviava verso la casa paterna, per fare pulizie e chiuderla, perchè aveva deciso di mettere in vendita l'immobile. Entrò nella casa dove aveva abitato nella sua infanzia felice e colma d'affetto, l'affetto del genitore che ora aveva perduto, l'affetto che neanche più ricordava. La casa aveva un aspetto oscuro e dimesso. Giovanni si mise ad ammucchiare le cianfrusaglie dell'estinto per poi buttarle via, finchè non trovò in un cassetto una busta con su scritto A MIO FIGLIO GIOVANNI. Aprì la busta e ne estrasse la lettera iniziando a leggerla: Caro figliolo, sono io papà, ti scrivo questa lettera, sapendo che prima o poi la troverai, per dirti quattro paroline che ho sempre voluto dirti, ma avevo paura a farlo di persona. A dire il vero non so da che parte iniziare, perciò ti parlerò di me, dell'uomo che sono stato: Sono nato come sai in una famiglia benestante, mia madre è morta che ero piccolo, lasciandomi un vuoto nel cuore. Mio padre il nonno di cui (per suo desiderio) hai seguito le orme, non si è mai interessato di me. Se ogni tanto mi vedeva e mi salutava per lui era già tanto.
Mi aveva raffidato a mia Zia Franca che per me è stata come una madre, anche se non lo dicevo però io sentivo la sua mancanza. Cresciuto ho frequentato le migliori scuole e l'università di giurisprudenza laureandomi e diventando legale. Anche grazie all'aiuto dei miei amici mi sono inserito nella professione. A dire il vero sono state più le cause che ho perse che quelle vinte. Forse sono stato io stesso una causa persa.
Poco dopo ho incontrato una bella ragazza che mi comprendeva, mi ascoltava e mi amava, e così in uno dei giorni più felici della mia vita l'ho sposata. Ricordo che papà è scappato subito dopo la cerimonia per badare ai suoi affari. In quel momento ero troppo felice per pensarci, ma ci ho pensato dopo.
Ma il giorno più felice della mia vita è stato quando sei arrivato tu. Quando ti ho preso in braccio per la prima volta è stato come conquistare il mondo intero. Come era bello tornare a casa la sera, giocare con te 10 minuti, metterti a letto raccontandoti una fiaba, andare in campeggio con te e la mamma. Gli anni della tua infanzia sono stati i più felici della mia vita. Nemmeno mio padre ha potuto resisterti, quando ti ho presentato a lui dicendo: papà ammira mio figlio, ha avuto un fremito di commozione. Poco a poco portandoti sempre da lui sono riuscito a farlo diventare un nonno innamorato del nipotino, e quando mi ha detto che voleva che tu fossi il suo erede sono stato felice. Crescendo con gli anni ti sei allontanato da me e mamma, hai studiato legge come me, anche se poi hai cominciato a lavorare con il nonno. Io sono stato fiero di te, ma avrei voluto esserti accanto di più di quel che mi hai permesso. Ancora più fiero però sono stato quando ti sei trovato una bella ragazza e ti sei sposato. La sera dopo le nozze ho pianto di gioia, perchè pensavo saresti stato felice. Poi anche tu sei diventato papà con mio grande orgoglio, mi auguravo che tu avresti provato la stessa gioia che avevo provato io, e io avrei potuto aiutarti in questa tua missione. Purtroppo ti ho visto allontanarti dalla tua famiglia, trascurare tuo figlio, e questo mi ha deluso. Devo confessarti che a volte avrei voluto prenderti a sberle. Quando tua madre è morta avrei voluto cercare rifugio in te, perchè ormai eri l'unica cosa che mi restava, ma ti ho visto allontanarmi come se avessi del rancore. Non sono mai riuscito a partecipare alla vita di mio nipote, perchè mi mancavi te. Tuo nonno ha partecipato alla tua perchè c'ero io con lui. Ma tu con me non sei mai stato.
Poi come sai mi sono ammalato. Il cancro mi fatto molto soffrire e così le cure, nei momenti di maggior sofferenza ho pensato a te, quando eri piccolo. E' stato questo che mi ha aiutato a sopportare quel dolore.
In questi ultimi miei giorni ho avuto un solo desiderio: vederti tornare da me, accudirmi un pò, consolarmi quando stavo male, mettermi a letto,vederti al mio capezzale seduto su una poltrona, coperto da un plaid a sonnecchiare. Purtroppo non è mai successo. Hai considerato il tuo lavoro più di me e chiunque, ma fai ancora in tempo ad avvicinarti al tuo ragazzo, non perderti più niente della sua vita, ti sei già perso tanto. Un giorno potresti restare solo.
Da ultimo voglio dirti che tu sei stato la cosa più preziosa della mia vita, anche se ti sei allontanato. Pregherò per te nel luogo dove vado, se di pregare là mi sarò consentito.
Tuo papà.
Giovanni pianse in silenzio e guardandosi allo specchio vide oltre il suo orgoglio, vide i suoi errori che lo stavano conducendo ad una vita solitaria e desolata. Da quel giorno non si perse più le gioie della famiglia e divenne l'eroe del figlio.
Tutti i rimproveri del mondo non lo avrebbero smosso minimamente e anzi lo avrebbero solo incaponito. Una lettera scritta con amore lo aveva ravveduto.

giovedì 2 giugno 2011

giovedì 26 maggio 2011

IL VERO CAPO



Un giorno tutti gli organi del corpo umano si misero a discutere far loro su chi di loro  fosse il più importante e degno di essere il capo.
Il cervello primo fra tutti disse: Io regolo le funzioni del corpo e impartisco gli ordini a tutti voi. Mi sembra ovvio perciò che il capo sono io.
Il cuore però obbiettò: Un momento, io faccio circolare il sangue che nutre e da vita a tutti voi. Cosa sarebbe il cervello senza di me? Perciò il capo sono io.
Allora intervennero le gambe dicendo: sentite vi state scordando che noi vi trasportiamo ovunque e scappiamo se c'è un pericolo. Noi dobbiamo essere il capo.
Anche gli occhi, le orecchie, il naso e altri organi esposero le loro ragioni tutte valide, ma quando toccò al buco del culo tutti gli organi esplosero in una sonora risata.
Ma il buco del culo si offese e da quel momento non fece più lo stronzo.
Dopo un pò il cervello era febbricitante, il cuore aveva delle irregolarità, le gambe non reggevano più e lo stomaco si sentiva scoppiare.
Così prima che arrivasse la morte tutti gli organi elessero il buco del culo come capo.
MORALE DELLA FAVOLAIL CAPO E' QUALCUNO CHE SA FAR BENE LO STRONZO.

mercoledì 25 maggio 2011

L' UCCELLACCIO DEL MALAUGURIO



Era una fredda serata d'Ottobre e Maurizio sedeva sulla sua poltrona a leggere un racconto di Le fanu
Era un uomo di cinquantasei anni, vedovo con un figlio di trenta chiamato Luca emigrato in Germania, era sempre stato un uomo timoroso, ma con la morte della moglie era divenuto superstizioso, e da quando il figlio era emigrato era giunto alla paranoia. Odiava le cose come rompere flaconi di sale o olio, rompere gli specchi, passare sotto le scale, , incontrare gatti neri perché portavano sfortuna, ma quel che più lo terrorizzava era udire il canto dell'uccellaccio del malaugurio. Proprio quando terminò di leggere il suo libro, il cui genere peggiorava senz'altro le sue fobie, ebbe la terribile sfortuna di udire ciò che lo terrorizzava maggiormente, sentì cioè un uccellaccio cantare sugli alberi di fronte casa sua. Come era orribile quello sgraziato canto, peggio del gracidare di una rana con il raffreddore, lo faceva rabbrividire perché certamente foriero di terribili disgrazie.
Il poveretto si ricordò di ciò che gli diceva la nonna su questa orribile genìa di uccelli che preannunciavano sventure, perciò si affacciò alla finestra e gridò forte: "sopra le tue penne bastardo", poi recitò preghiere e scongiuri vari, non perché credesse in Dio ma per allontanare la sfortuna in agguato, indi guardò un po di televisione e alla fine essendo stanco decise di andare a letto.

Nel bel mezzo della notte però si svegliò, perché il malefico uccellaccio di prima cantava più forte, allora iniziò a rigirarsi nel suo letto pensando a ciò che poteva capitare, finchè fra tutte le ipotesi più orrifiche sfogliò quella che per lui era la peggiore: poteva capitare qualcosa a Luca.
Se Luca avesse avuto qualche incidente, per esempio mentre si recava a lavoro, sarebbe potuto morire e lasciare orfani i suoi bellissimi nipotini, oppure poteva restare invalido a vita, inoltre poteva anche perdere il lavoro e cadere in povertà, il che significa che sarebbe sceso con tanto di moglie e figli per farsi mantenere da papino, e questa si sopra le altre citate sarebbe stata una autentica tragedia.
Il buon Maurizio decise allora di scongiurare queste infauste probabilità uccidendo il messaggero di sfortuna, in gioventù era stato eccezzionale con la fionda, perciò ne prese una che teneva come ricordo insieme ad un nocciolo di pesca, la puntò nella direzione dalla quale sentiva provenire l'orribile canto e scoccò il colpo.
Senti un gemito come una specie di ccoooo, poi un sordo tonfo e in fine notò che il triste e spiacevole gracidio era terminato.
Ce l'ho fatta, l'ho fatto smettere, mormorò tra se ed andò a letto contentissimo.

L'indomani di buona mattina si affacciò alla finestra e vide nel cortile davanti casa sua un orribile ed enorme cuculo morto stecchito, fiero ed esultante fece una doccia cantando di gioia, perché aveva affrontato e sconfitto la peggiore delle sue paure, si rivestì e si avviò ad uscire per far colazione al bar e raccontare agli amici la sua prodezza, ma mise un piede su una buccia di banana che era caduta dal sacco quando la scorsa sera aveva gettato la spazzatura, scivolò e si ruppe dolorosamente una gamba.

Il malefico uccellaccio aveva comunque portato a termine la sua missione e anche ottenuto una postuma vendetta.


martedì 24 maggio 2011

LINEA DI SANGUE




Nella immensa città di San Francisco, nel 1997 viveva un piccolo boss locale di nome John Talbot, Un uomo di 51 anni dalla corporatura alta e forte, i capelli brizzolati, gli occhi blu e un carattere cinico e sarcastico.

John si occupava di contrabbando di armi e spaccio di droga, dirigeva i suoi affari assistito dal figlio Morris un uomo di 30 anni che gli somigliava molto nella persona e nella forza, ma dotato di un carattere ancor più feroce e maligno che spaventava tutti quelli che praticavano con lui, talvolta persino il padre. John aveva anche una figlia più piccola di nome Sarah, una bella ragazza molto somigliante alla defunta moglie, che contrariamente al fratello aveva un carattere dolce, un animo nobile,e la passione per l’arpa. Per non sporcare questa sua natura il padre la teneva nella sua villa e nelle migliori scuole private attorniata da personale e amicizie scelte e lontana dai suoi affari.

Per la protezione sua e di suo figlio John aveva al soldo 8 sicari denominati gli avvoltoi. Questi erano uomini scelti per la loro abilità nelle armi e nel combattimento corpo a corpo, vestivano in abito nero con cravatte gialle per creare una impressione di distinzione, ma al contempo di dejà vu, e svolgevano i lavori più delicati e rischiosi per conto del loro capo; non si allontanavano mai troppo dal boss e dai suoi due figli e vivevano con lui nella sua villa. I nomi degli avvoltoi erano: Harvey Preston, Lucas Dent, Dan Taylor, Marc Simpson, John Stark, Derek Madsen, Cormak Stevens, e Jerry lohan. Tutti loro erano uomini con un passato infelice alle loro spalle, fatto di abbandono minorile, maltrattamenti e povertà che avevano deciso di darsi al crimine per arricchire e trovare felicità, così erano diventati gli scagnozzi dello spregiudicato Talbot, il quale soddisfatto dei loro servizi sembrava trattarli con premura.

Il più caro e vicino al capo fra tutti gli avvoltoi era John Stark, un ragazzo di 28 anni, con capelli castani, occhi verdi e un carattere docile e obbediente, questi in realtà avrebbe dovuto chiamarsi Talbot in quanto figlio illegittimo di John, avuto con una cameriera deceduta poco dopo la sua nascita. Il padre aveva deciso di non riconoscerlo apertamente per salvaguardare i diritti dei suoi due figli legittimi e proteggerlo da Morris che lo avrebbe odiato a morte perché figlio di un’altra donna. Il giovane aveva frequentato i Talbot fin da piccolo, e con la scusa di essere entrato nelle simpatie del boss aveva sempre ricevuto assistenza ed era divenuto guardia del corpo personale di Talbot; sapeva chi era il padre ma taceva per assecondarlo. Il fratellastro che invece non sapeva della sua parentela, vedendo l’atteggiamento affettuoso del padre, immaginava che i rapporti fra i due fossero di altra natura, perciò a volte prendeva a calci nel sedere il giovane tirapiedi chiamandolo Rosita. Il perfido Talbot era un uomo che sapeva ben curare i suoi affari, in fatti aveva come amico un poliziotto corrotto che lo premuniva da tutte le possibili retate, sapeva stringere ottime relazioni con gli altri mercenari, talvolta anche con il ricatto e quando qualche individuo dava noie inaspettate mandava i suoi avvoltoi i quali non fallivano mai.

Tutto filava liscio nella vita del malvagio John, che era felice e soddisfatto nonostante il detto che il crimine non paga, ma c’era un problema del quale il boss non sapeva nulla e che presto avrebbe portato allo sfacelo la sua bella famiglia: Sarah la sua giovane figlia frequentando assiduamente il giovane John e non sapendo che era il fratellastro si era perdutamente innamorata di lui, per questo voleva sempre stargli accanto e si contendeva con il padre la custodia personale. Il fratello Morris aveva capito i suoi sentimenti, ma credeva che fosse solo una cottarella senza importanza, perciò faceva di tutto per ridicolizzare lo scagnozzo preferito del padre e metterlo in cattiva luce. Il giovane John dal canto suo sopportava i maltrattamenti del “principino oscuro” come lo chiamava, perché anche lui aveva capito i sentimenti della sorellastra e sapeva che era meglio che cambiassero. Ma i sentimenti di Sarah non cambiavano anzi la ragazza iniziava ad allontanarsi dal fratello cosa che preoccupava il padre. Un sera John e Sarah si trovavano soli nella villa, perché Talbot e il figlio maggiore erano andati a sbrigare delle commissioni relative ai loro sporchi e affari. Gli altri 3 avvoltoi rimasti, oltre a sorvegliare la casa se la spassavano con le governanti come usavano fare sempre e non si interessavano di altro. In quella occasione Sarah si avvicinò a John e incominciò a parlargli del fratello dicendo che ogni giorno si faceva sempre più violento, forte e arrogante e la terrorizzava, poi gli rammentò che lo trattava come un giocattolo e lo prendeva a calci e lo esortò ad opporsi.

John invece le rispose dicendo: (Dovresti ascoltare tuo fratello non incrinare i rapporti con lui. A te vuole bene e questo è importante. E poi lui e fatto così, è esuberante e fastidioso ma pur sempre il figlio del capo).


(Si), disse Sarah. (Hai sentito come ti chiama ogni volta che ti vede a braccetto con mio padre: Rosita. Tu lo sai a cosa vuole alludere e quanto è grave. Perderai il rispetto di tutti così, spaccagli il muso invece, io lo farei).


John rispose: (Attaccare tuo fratello è come attaccare tuo padre, io sono nelle grazie del capo proprio per la mia devozione. E poi a tuo fratello nessuno può spaccare il muso, perché è il più forte di tutti noi).


(E fatti uccidere allora sciocchino). Disse la ragazza abbracciandosi al sicario, poi accostò le sue labbra al suo muso e cominciò ad accarezzarlo sensualmente, ma John la respinse.


La ragazza rimase turbata, poi disse: (Ti lasci bastonare così volentieri da chi ti disprezza e respingi chi ti consiglia e…ti ama).

(Io mi lascio bastonare perché ho le mie ragioni. Nostro...tuo padre volevo dire, tiene molto a me e non mi importa affatto di tuo fratello. Quanto a te, io ti amo quanto ti ama tuo padre, ma posso solo amarti come una sorella). Poi rientrò in casa turbato e rosso come un peperone indiano, mentre Sarah rimase in Terrazza, viola di rabbia e vergogna prese a mordersi le dita fino a procurarsi cicatrici.

Il giorno seguente all’ora di pranzo i Talbot erano a Tavola insieme a quattro dei loro sicari. Fra questi 4 come al solito c’era John e inoltre c’era anche una parente, la sorella della defunta moglie del boss. Ad un tratto John, che sedeva tra il padre e il fratellastro, rovesciò involontariamente un piatto di gamberetti addosso a Morris.

Questi già nervoso per i fatti suoi, dopo avergli dato dell’imbecille gli mollò un ceffone così forte da frastornarlo e farlo cadere dalla sedia. A quella vista Sarah non potè resistere e alzandosi gettò dell’acqua addosso al fratello, poi sollevò da terra John e gli tamponò il naso sanguinante. Il padre trattenne Morris e lo biasimò aspramente per il carattere irruente, poi girandosi verso la figlia la rimproverò e la separò da John. Allora Morris, davanti a tutti urlò al padre: (Non ti sei accorto papà che tua figlia, con tutti rampolli dell’alta società che può avere si è andata a innamorare proprio del tuo leccapiedi preferito? Non vedi come lo guarda, lo spoglia con gli occhi)!

Il boss impallidì poi diede uno schiaffo al figlio intimandogli di tenere a freno la lingua e trattenne Sarah che furiosa voleva saltare addosso al fratello.

Morris continuò: (Perché hai preso così a cuore quest’idiota da tenertelo incollato e non vedere lo scompiglio che ci porta? Non è che anche tu)….

Allora il boss sgridò ferocemente il figlio e gli intimò di sbollire altrove i suoi bollenti spiriti. Nell’andarsene Morris minacciò il fratellastro dicendogli che presto o tardi avrebbe risolto definitivamente la questione. Tutti i commensali rimasero sconvolti, i 3 avvoltoi presenti ridacchiarono dei padroni, mentre la zia Jane, che conosceva il segreto di John rimase impietrita da quanto appreso e quando la situazione si fu calmata volle parlare al cognato e gli disse: (Ti rendi conto di quanto sia grave la situazione? Tua figlia, a quanto pare, ama appassionatamente John non sapendo che in realtà è il fratello. Benchè lui non voglia toccare sua sorella è pur sempre un uomo. Se dovesse esser tentato continuamente…potrebbe nascerne un incesto e questo sarebbe orribile. Inoltre Morris odia a morte John e non sa neanche chi è, se dovesse succedere quel che ti ho detto, tutto finirebbe in un bagno di sangue. Tu devi allontanare John da casa).

Il boss rispose: (Non posso allontanare mio figlio, conosce tutti i miei affari, mi ha sempre protetto benissimo e inoltre ormai è un sostegno fondamentale per me. Lui resta con me finchè campa o finchè campo io).

Jane continuò: (Allora manda Sarah a studiare all’estero, per esempio in Europa. Così lo dimenticherà).

(Neanche questo posso fare), replicò Talbot. (Sarah è l’unica cosa bella e pura che mi resta, persa lei ho solo il marciume dei miei crimini, inoltre somiglia a sua madre e la mantiene viva ai miei occhi e a quelli di Morris).

(Non hai paura di quel che può fare Morris)? Disse Jane (Con il carattere che ha o prima o poi)…

(No Morris è impulsivo questo si, ma non ucciderà uno dei miei uomini. Da oggi innanzi farò in modo di mantenere tutti e tre separati ma non li allontanerò da casa).

Da quel Giorno in poi Talbot fece in modo che Sarah e John non rimanessero mai da soli insieme, e inoltre non permise a Morris neanche di avvicinarsi al fratellastro. Nonostante la sorveglianza però un pomeriggio Sarah riuscì a trovare John da solo e gli parlò: (Perché non possiamo amarci anche solo in segreto)? chiese, (Hai paura di mio padre o non hai il fegato di opporti a mio fratello)?

(Nessuna di queste cose). Rispose John, (Sarah tra noi non deve esserci niente).

(Perché non dovrebbe esserci niente, consideri le aspettative degli altri o non mi ami tu)?

(Tuo padre sa perché, chiediglielo e lo saprai).

(Se sai che mio padre lo sa vuol dire che lo sai anche tu. Voglio che sia tu a dirmelo, avanti).

(Sarah io…io non posso e basta, perdonami ) disse John e si allontanò.

Sarah si sentì respinta e rifiutata e con il tempo iniziò a nutrire rancore verso John, ebbe un esaurimento nervoso ed iniziò a peggiorare negli studi e a comportarsi in maniera aggressiva. Il padre a questo punto provvide davvero ad allontanarla da casa, mandandola a fare lunghi viaggi di studi e di svago, protetta dai cugini dei quali si fidava, in cuor suo egli cominciò a disprezzare la figlia e prese in considerazione l’idea di rivelare a lei e a Morris chi davvero fosse John. Ma a questo punto Morris approfittò della situazione per ricucire i rapporti con la sorella e prendere le redini della famiglia, così raggiunse Sarah a Stoccolma e la visitò. La ragazza fu felice di ricevere la visita del fratello e dato che si era sentita respinta da John iniziò a farsi coinvolgere dall’astio di Morris, gli raccontò per filo e per segno i loro discorsi e concluse dicendo: (Sono stata una stupida a litigare con te per quella inutilità).

Morris invece disse: (Non avevi capito che è l’amante del nostro paparino? Io l’ho sempre saputo che è dell’altra sponda e mi faceva schifo solo per questo. Però adesso che ti ha fatta soffrire ha passato ogni limite perciò voglio occuparmi di lui).


(No Morris, ti prego non ucciderlo, implorò Sarah, pestalo se vuoi però non ucciderlo).


(No tranquilla, voglio solo allontanarlo dalle nostre vite. Se gli succederà qualcosa non sarò io a fargli danno. Tu intanto torna a casa e ricuci i rapporti con Papi che ci penso io al resto).


Morris precedette la sorella nel tornare a San Francisco e andò a spiare un boss rivale e pestando uno dei suoi sgherri venne a sapere che questi stava progettando una rapina in una gioielleria. Questa era l’occasione che cercava, così poteva eliminare un pericoloso concorrente del padre, incassare un lauto bottino e avere il pretesto per sacrificare John senza passare per assassino. Nel giorno prefissato, lo stesso dell’arrivo di Sarah prese con se 3 dei suoi avvoltoi e John come guardia personale, approfittando del fatto che il padre era tutto preso dal ritorno della figlia lo tenne all’oscuro e agì senza informarlo. Quando la figlia tornò in casa il padre la accolse insieme alla zia Jane e con imbarazzo le rivelò chi davvero era John e perché lo aveva sempre tenuto nascosto. Dopo 5 minuti di sonoro sgomento Sarah si fece prendere dal panico dicendo che sapeva che Morris aveva in animo di fare qualcosa di terribile. Nello stesso momento in cui avveniva la rivelazione, Morris coi suoi sgherri irrompeva nella gioielleria assediata dai delinquenti rivali e dava inizio ad una mattanza spaventosa uccidendo di sua stessa mano in modo selvaggio i 2 figli del boss rivale, il gioielliere e 3 clienti. Dalla sua parte 2 dei suoi avvoltoi furono uccisi e John rimase gravemente ferito facendogli scudo col suo corpo. Lo spregiudicato Morris sentendo arrivare la polizia, prese tutti i gioielli che potè raccogliere, il fratellastro Moribondo e il suo sicario Harvey e riuscì a fuggire uccidendo 2 poliziotti. Quando fu lontano dal luogo del macello si nascose in un Garage e buttò per terra John cominciando a pestarlo. Harvey credendolo impazzito tentò di fermarlo, ma Morris assestandogli un calcio in faccia lo mise ko, poi si rivolse a John dicendo: (Te lo avevo detto puttanella che avremmo regolato i conti, lo stiamo facendo adesso, ora ho la scusa per eliminarti e attribuire il fatto ai rivali e la cosa più divertente è che ti sei fatto scannare per me).


John nonostante il dolore lancinante rispose: (Dimmi Morris in tutto questo tempo per cosa mi hai odiato di più, per essere a tuo dire l’amante di nostro padre, perché nostra sorella si è innamorata di me o perchè io l’ho respinta)?


Allora Morris rispose: (Nostro padre, nostra sorella? Il dolore deve farti dare i numeri. Mi fa piacere che sia così forte)!


(Suvvia), continuò John. (Davvero credi che nostro padre cerchi maschietti e perché ho respinto Sarah bella come una dea? Nostro padre un tempo aveva una bella cameriera di nome Sally Stark con cui usava divertirsi all’oscuro di Lady Crowford tua madre, io sono il risultato dei suoi eccessi amorosi. Non mi ha mai riconosciuto come suo figlio per non dare un dolore a tua madre e a voi, ma da quando mia madre morì in un incidente mi ha preso e mi ha sempre voluto con se. Quella che tu scambiavi per una relazione omosessuale è in realtà affetto paterno. Io non ho mai preteso nulla perché mi bastava essere a casa con voi, la mia famiglia).


Morris impallidì e con voce tremante disse: (bugiardo tu menti).


(Che dovevo fare secondo te, portarmi a letto mia sorella? E se lei non sapendo nulla del mio segreto si era innamorata di me io che potevo farci? Il sangue che vedi scorrere dalle mie ferite è il tuo, tu stai ammazzando con piacere tuo fratello. Invece che darmi calci e chiamarmi Morosita o Rosita perché non facevi una chiacchierata con papà)?


Morris rimase attonito e sconvolto, ma non si avvide che dietro di lui era arrivato il boss nemico di suo padre che gli sparò dicendo: (Crepa bastardo, hai ammazzato i miei figli). Poi diede il colpo di grazie a John. Ma proprio in quel momento Talbot irruppe e uccise il suo rivale e i suoi uomini, poi sconvolto dalla vista dei suoi figli morenti in una pozza di sangue si chinò su di loro gridando: (I miei figli, i miei due bei figli, no, no, Dio no)! Morris con un filo di voce disse al padre: (Papà io non sapevo, io non lo sapevo, no, no). Mentre invece John con un rigurgito di sangue implorò: (Papà aiutami, sto morendo, vedo nero, sto morendo).


Morendo i due fratelli si guardarono negli occhi, l’uno con la consapevolezza di essere un fratricida, l’altro rammaricandosi di esser stato involontariamente la rovina della sua famiglia. Morirono entrambi sentendo come ultimo suono i gemiti del padre.


Dopo la terribile tragedia e i funerali dei due amati figli di Talbot, la polizia ebbe modo di scoprire i traffici del boss nonostante il suo infiltrato. John Talbot ridotto all’ombra di se stesso e senza più la volontà di combattere si lasciò prendere senza opporsi e morì in meno di un mese di crepacuore in galera. Tre dei suoi avvoltoi decisero di collaborare con la giustizia per avere sconti nella pena e trattamenti di favore, mentre Harvey Preston prese con se la dolce Sarah e una parte del patrimonio del boss, fuggì in Canada dove cambiò identità e sposò l’unica superstite del suo clan, rendendola madre di due bambini che furono chiamati John e Morris.


domenica 24 aprile 2011

L'INVASIONE DEL REGNO DI ESMELIA



Un giorno Armares ordinò a Parsek di rapinare e distruggere un regno il cui re di nome Merovis appartenente ad una importante dinastia, in passato lo aveva sconfitto e umiliato. Così a capo di una banda di delinquenti e mostri Parsek invase il regno scatenando una feroce guerra e insieme a Plesius sconfisse l'esercito regio e tre cavalieri fatei chiamati AdenarBerseker e Mithrenal che difendevano la famiglia reale e infine uccise lo stesso re Merovis.
Dal racconto la tremenda profezia-parte prima

Il cavaliere fateo decaduto Parsek, con la sua banda di mercenari e creature infernali arrivò nel regno di Esmelia, che secondo gli ordini del suo signore Armares doveva distruggere.
Si fermò di fronte al piccolo villaggio di Venner, che precludeva la strada alla città di Esmelia, sapendo che buona parte dell'esercito regio si era asseragliata in quel centro per precludergli il passo. Lord Adenar Mellit infatti, cavaliere fateo di indiscusso valore, si era appostato con dei soldati propio a Venner e intendeva fermare l'avanzata del sicario di Armares. Tale Adenar era il figlio di un cavaliere fateo di nome Sedrenar che 20 prima, con la sua straordinaria abilità nel combattimento e nelle arti magiche aveva permesso al re Merovis di sconfiggere il titano Armares; anche se a costo della vita. In questo grande mago guerriero riposavano le speranze del re di Esmelia, oltre a buona parte delle speranze del glorioso ordine dei cavalieri fatei, creato secoli prima dall'antico Titano Vardames, il gran maestro dell'ordine Ralk infatti, intendeva nominare Adenar suo successore, nonostante questi avesse espresso dissenso.
Allora Iridan Plesius, cavaliere oscuro maestro di Parsek intimò al suo allievo di fermarsi, perchè intendeva liberargli la strada con il colpo che aveva incenerito un intero villaggio e lo aveva reso famoso e odiato da tutti: la bombarda simka. Salito su una collinetta iniziò a concentrarsi ed a formare una sfera di fuoco fatuo che si ingrandiva sempre più.
Plesius comunque ignorava che anche Adenar conosceva questa mortalissima tecnica, e aveva deciso di annientare il Simka Parsek e i suoi seguaci proprio con una tecnica simka. I due cavalieri fatei prepararono contemporaneamente la bombarda e la scagliarono contro la banda nemica sicuri della vittoria. Le due sfere di energia compressa si scontrarono, danzarono crepitando nell'aria e furono poi, a causa della pressione, proiettate in alto nel cielo, dove si annichilirono a vicenda, generando una spaventosa esplosione la cui onda d'urto sradicò alcuni alberi dal terreno; e il fulgore e il boato furono percepiti a distanza di chilometri.
Sia fra le fila di Parsek che di Adenar si diffuse il panico e molti caddero tramortiti al suolo. Lo stesso Parsek dopo essere rimasto frastornato si riebbe e comprese ciò che era successo, ma determinato a distruggere i nemici e saccheggiarne i beni spronò i suoi seguaci a riprendersi; poi utilizzò una tecnica chiamata pioggia di stelle per colpire il villaggio di Venner e i soldati che lo presidiavano. Varie raffiche di fasci di scintille si abbatterono su Venner demolendo alcune case e diffondendo il terrore fra i soldati di Merovis. Un soldato spruzzando d'acqua il volto di Adenar riuscì a farlo rinvenire dicendo: Mio signore Lord Adenar riprendetevi. Stiamo subendo uno spaventoso bombardamento stregonesco e senza il vostro aiuto verremo sbaragliati. Dopo un attimo di ottenebramento mentale Adenar ritornò in se e disse al suo servitore: Non perdetevi d'animo, contrastate il nemico per il bene della vostra gente, dei vostri genitori, dei vostri fratelli, delle vostre mogli, dei vostri figli. Se doveste essere sopraffatti ripiegate verso Esmelia. Io rimarrò qui, tenterò di uccidere parsek. Se ammazzi il capo branco i lupi fuggono via". Con Risolutezza Adenar si rialzò e impiegò la psicocinesi, arte di cui era esperto per ritorcere i fasci di stelle contro i mostri e i banditi di Parsek che stavano penetrando nel villaggio, ammazzandone parecchi. A quel punto Parsek furioso si precipitò a combattere direttamente Adenar, si parò di fronte all'avversario e disse: E' un onore per me fare la tua conoscenza Lord Adenar. Tu, figlio di colui che sconfisse il mio Signore, sei conosciuto come uno tra i più valenti cavalieri fatei. Ma non sopravviverai a questo conflitto, perchè io Parsek ti sviscererò oggi davanti ai tuoi soldati".
Il cavaliere fateo stizzito rispose: E' uno schifo indicibile per me vederti Parsek. Tu, che hai tradito i nobili insegnamenti dell'incomparabile Mylvius per apprendere le maligne diavolerie di Iridan Plesius, la più grande vergogna dell'ordine. Non far promesse che non puoi mantenere mocciosetto.
I due cavalieri fatei si scontrarono in duello con le loro luccicanti spade fantasma. Parsek rivelò di avere una forza mostruosa e di essere estremamente violento, nel combattimento riuscì ad assestare al rivale parecchi calci e pugni. Nonostante questo, Adenar abilissimo spadaccino gli tenne testa senza abbattersi e alla fine riuscì ad atterrarlo. Allora Parsek si rialzò e decise di usare il potere ereditato dal titano Veesnar di cui aveva bevuto il sangue: Il fuoco sacro del dragone , così lanciò contro il rivale due potenti fasci di fuoco.
Adenar venne scaraventato contro una parete e fu sul punto di essere incenerito perchè il suo scudo fantasma non reggeva la pressione. Ma alla fine il cavaliere fece ricorso alla sua potente psicocinesi e oltre a smorzare la furia delle fiamme, fece perdere l'equilibrio a Parsek costringendolo ad interrompere l'attacco. Poi sollevò da terra il cavaliere oscuro e lo scagliò per aria, facendolo cadere da una scalinata.
Spezzati l'osso del collo bastardo. Ridacchiò Adenar, ma quando si avvicinò per finirlo si trovò davanti Iridan ripresosi dallo shock della bombarda e venuto in soccorso del discepolo.
Adenar iniziò a deriderlo: Un vecchietto di 87 anni non dovrebbe cercare battaglie da combattere. E' già molto se dopo lo sforzo della bombarda simka sei ancora in vita. Pensi che con le stanche membra che ti ritrovi potrai tirare di spada con me Plesius"?
"Francamente si, rispose plesius. Io ero uno dei più valorosi cavalieri fatei quando tu neanche esistevi. Forse non avrò la forza di un tempo, ma ho ancora l'abilità necessaria a romperti la schiena damerino".
I due iniziarono a combattere accanitamente dando prova di essere ambedue valenti combattenti. Nello scontro Iridan non potè fare a meno di notare la profonda abilità di Adenar e si complimentò con lui per la sua conoscenza delle arti della cavalleria oscura, grazie alle quali aveva potuto usare la bombarda simka. Questi gli rispose di non aver nulla a che vedere con i Simka e la loro perfidia; dichiarò di essere figlio di Sedrenar e discepolo preferito di Barnby Ralk.
Plesius però gli disse: "invece caro mio sei ad un passo dal diventare un cavaliere oscuro, però io non amo la concorrenza e non permetterò la presenza di un altro maestro simka. L'unico ammesso oltre a me è il mio allievo Parsek, perciò tu morirai qui e subito".
Adenar dal canto suo replicò: Sono io che non posso risparmiarti Iridan, nonostante la tua dolorosa storia mi ispiri compassione. E c'è inoltre una cosa che non hai considerato: Ad un vecchio come te occorre molto tempo per riprendersi dallo sforzo della bombarda simka. Un uomo di 30 anni come me, invece, si riprende molto prima". 
Detto questo spezzò la spada fantasma di Iridan e lo atterrò, ma prima che potesse trafiggergli il petto ricevette un violento calcio al fianco destro che lo stramazzò a terra.
Parsek ripresosi dalla violenta caduta di prima era sopraggiunto in aiuto del maestro.
Mi hai dato una bella batosta Adenar, disse Parsek. Ammetto di averti sottovalutato, non posso eliminare con le "buone" qualcuno come te, adesso userò le cattive.
Detto questo si scagliò con violenza contro il rivale e dopo un lungo e duro combattimento riuscì a trafiggerlo.
Il malvagio cavaliere oscuro disse esultante: Ti avevo promesso poco prima che ti avrei sviscerato, come puoi vedere io mantengo la parola.
Adenar agonizzante rispose: "io sto morendo per tua mano bastardo assassino, ma non illuderti, un giorno riceverai la punizione che meriti per mano di chi meno ti aspetti. Poi spirò. 
I soldati del re Merovis, terrorizzati dalla morte del loro valoroso comandante e sopraffatti dai lupi mannari e i minotauri di Armares ripiegarono verso la loro città.
Parsek li inseguì e giunto davanti alle porte sprangate adoperò dei fulmini e il fuoco di sant'Elmo per  sfondarle, dopo di ciò con i suoi mostri penetrò in città e cominciò a massacrare sia i soldati che gli inermi civili. Ad un tratto però una violentissima raffica di fulmini colpì lui e i suoi sgherri costringendoli ad indietreggiare, perchè un'altro cavaliere fateo di nome Berseker Fulves era apparso a contrastarne il cammino. Costui era molto abile nelle emanazioni di energia quali fulmini e raggi di luce, oltre che nei salti acrobatici. Berseker iniziò a bersagliare Parsek e la sua banda di Criminali e mostri con raffiche elettriche e dardi spettrali, dando così tempo agli sconfitti soldati di Merovis di trarre in salvo i civili e i feriti. Con lui rimase solo un manipolo di coraggiosi che vollero affiancarlo nella lotta contro gli invasori. Ad un certo punto però Parsek si mosse all'attacco materializzando un'ascia fantasma e scagliandosi con violenza contro Berseker, tentò di assestare al rivale calci e pugni come aveva fatto con Adenar, ma questi li respinse e mise a segno un destro micidiale, poi si diede ad uccidere molti dei mostri che accompagnavano il simka . Ma Parsek rialzatosi si infuriò e si scagliò nuovamente su Berseker, riuscendo questa volta a metterlo in difficoltà, spezzando la sua spada fantasma e atterrandolo. 
Parsek disse con orgoglio: Sai combattere bene cavaliere fateo dei miei stivali, ma ora creperai come il tuo compagno Adenar, perchè con me è impossibile prevalere". Ciò detto si apprestò a decapitarlo con la sua ascia fantasma.
Ma Berseker frenò con le nude mani il fendente, dicendo: Chissà quale inganno hai usato contro Adenar, devi averlo colpito alle spalle, mentre Plesius lo impegnava presumo. Ad ogni modo adesso lo vendicherò".
Berseker spezzò con il taglio della mano l'ascia fantasma di Parsek, poi lo prese per il collo e iniziò a strangolarlo, nonostante il cavaliere oscuro si dimenasse e scalciasse selvaggiamente. Il cavaliere fateo disse ironicamente: Se non sbaglio prima volevi parlare di decapitazioni. Cambiamo argomento adesso e parliamo di strangolamenti!
Ma in quel momento un fulmine di Plesius lo ferì alla mano costringendolo a mollare la presa.
L'oscuro maestro di Parsek utilizzò sull'indomito Berseker una tecnica chiamata Ragnatela simka, così con delle sottilissime fune fantasma lo immobilizzò. Iridan disse: Facevi lo spiritoso con il mio discepolo, ma non hai tenuto conto di me come dovevi, e hai fatto così lo stesso errore di Lord Adenar. Adesso lo raggiungerai all'inferno perchè ti farò sventrare da Parsek.
Parsek si avvicinò con la spada fantasma e un sorrisetto maligno, ma prima che potesse menare il fendente Berseker disse orgoglioso che stava per diventare padre e come Sedrenar aveva fatto a suo tempo con Adenar, così lui avrebbe garantito a suo figlio un regno prospero e tranquillo e ne avrebbe fatto il suo erede. Poi emise delle potenti scariche elettriche rompendo i fili spettrali che lo legavano e travolgendo inesorabilmente sia Iridan che Parsek, stava per giustiziarli entrambi quando uno dei delinquenti di Parsek gli lanciò un sasso in testa frastornandolo. Allora Parsek profittò dell'occasione, prese per i capelli Berseker e gli disse: Quanti bei progetti hai! Ma lo sai che a volte le cose non vanno come desideri, dato che nella vita accadono degli imprevisti. E guardandolo negli occhi lo decapitò.
La magnifica città di Esmelia era in rovina. I mostri di Parsek avevano ucciso e mangiato parecchie persone, mentre i delinquenti avevano rapinato e appiccato il fuoco. Solo il palazzo di re Merovis resisteva difeso dalle sue ultime guardie. Parsek con i suoi delinquenti e i lupi mannari ne sfondò le porte e penetrò alla ricerca di re Merovis, ma si trovò davanti un bel cavaliere fateo molto somigliante a lui nell'aspetto di nome Mithrenal Rif che gli precludeva la via per la sala del trono. I due si scontrarono tenendosi testa a vicenda, ma ad un certo punto Parsek iniziò a prevalere e mise in difficoltà Mithrenal riuscendo anche a ferirlo ad un fianco. Il cavaliere fateo si accasciò al suolo e Parsek ritenendo già sua la vittoria lo derise dicendogli che avrebbe raggiunto i suoi compagni, poi si preparò ad ucciderlo. Ma Mithrenal lo fece volar via con un potente attacco telecinetico e rialzandosi seppur a fatica gli rispose: "per noi cavalieri fatei è onorevole morire difendendo la patria, la famiglia, gli indifesi e i deboli. I miei compagni dal cielo ridono di te Parsek, perchè sanno che sarai dannato in eterno. A spedirti all'inferno sarò io Mithrenal, con l'incantesimo che ha eliminato Zernames, padre del tuo signore Armares.
Detto questo iniziò a formare una aureola di energia che sembrò mutarsi in una balestra e pronunciò un nome memorabile: Vai Arco Delle Sette Luci
Propio in quel momento Iridan Plesius si parò a difesa del discepolo sovrapponendo due scudi fantasma e tentando di parare l'attacco. Ma l'incantesimo ruppe gli scudi e attraversandolo in verticale gli sfondò il busto e ne appiccicò i visceri al soffitto.
A quella vista Parsek  si infuriò e con due sciabole fantasma mozzò le braccia a Mithrenal, e poi lo incenerì con il fuoco del dragone. Eliminati tutti i magici protettori, re Merovis, anche a corto di soldati rimase senza protezione. Parsek lo raggiunse nella sala del trono vedendolo impegnato a squartare dei banditi e 2 mostri che lo aggredivano. Quel valore battagliero non lo stupiva, sapeva che si trattava di un re che proveniva da una stirpe di guerrieri. Parsek gli gridò: Tempo fa, grande re, hai tenuto testa ad Armares con un solo cavaliere fateo, ora ne avevi ben tre e nessuno di essi ti ha salvato. Io sono Parsek Avelia, il più grande cavaliere Simka mai esistito e ti ucciderò qui, davanti al tuo trono". 
Vieni avanti stregone, rispose il re. Non morirò come un maiale terrorizzato nelle mai di un macellaio, dovrai sudare sangue per avere la mia testa. Vieni e ti mostrerò come sa morire un re.
Parsek disse: Non morirai come un maiale, no. Sei peggio di un maiale. Ma improvvisamente un colpo in testa gli ottenebrò i sensi. Hagendolf, figlio di Merovis e principe ereditario aveva aggredito Parsek alle spalle e adesso lo stava strangolando. Parsek riuscì faticosamente a reagire e con la telecinesi scagliò Hagendolf contro una colonna rompendogli l'osso del collo.
NNoooo Hagendolf, gridò re Merovis. Maledetto bastardo io ti ammazzo" e si precipitò contro Parsek, ma questi lo abbattè con dei fulmini. 
Grande re dove è finito il tuo valore? Stai morendo come un cinghiale ferito  disse Parsek e calando un fendente decapitò lo sfortunato Merovis.
Il regno di Esmelia era finito. Il tramonto di quella giornata segnava anche il tramonto di una importante dinastia. Gli sgherri di Parsek portavano con se un consistente bottino di ricchezze e schiavi che avrebbero fatto la felicità di Armares. Parsek riservò per se una preda soltanto: la giovane figlia del re Luzinda, alla quale accarezzava incantato i lunghi capelli biondi mentre giaceva priva di sensi. 
Un servo gli disse" Mio signore,avete ancora le mani sporche del sangue di suo padre e la accarezzate?
Io le farò dimenticare il male che ho fatto, rispose Parsek. Le ho tolto un regno le donerò un impero, le ho tolto il padre e il fratello le donerò dei figli, le ho tolto il suo popolo le donerò tutti i popoli del mondo. Ho trovato la regina con cui voglio dividere la gloria".


Ecco la storia da cui ho tratto questo racconto.

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