martedì 4 giugno 2013

Lo sfregiato - Il selvaggio west



Era un uomo alto, con folti capelli rossi, occhi verdi, barba rada e corta ed una piccola cicatrice sulla guancia destra . Portava un’ampia giacca a frange finemente decorata con amuleti indiani ed aveva una frusta il cui rumore intimidiva  i lupi, (visto che spesso la usava per ucciderli). Cavalcava un bianco destriero arabo di nome Thunder e aveva inoltre una sgargiante collana indiana, ovunque passasse incideva col coltello una A, iniziale di anarchia. Era un bastardo, uno dei peggiori che potessero circolare a quei tempi nelle pianure dell’ ovest. Era nato 35 anni prima in un piccolo villaggio di coloni, di quei coloni che per trovare una vita migliore migravano all’ovest, sfidando le insidie di una terra sconosciuta e la furia degli indigeni. Suo padre era stato un agricoltore ed era morto prima che lui nascesse. La madre era stata una donna di stampo puritano dura e severa,  ed era morta quando il figlioletto aveva 5 anni. Il bambino era stato affidato ad un fattore che pretendeva di farlo sgobbare come un asino senza dargli da mangiare e in più lo picchiava con forza. Ma il peggio doveva ancora arrivare, e difatti di li a poco in una fredda notte d’ inverno vennero gli indiani quelli che la gente chiamava Sioux, anche se loro si denominavano Dakota. Costoro devastarono il villaggio, uccisero parecchi uomini e rapirono alcune donne e bambini, fra i quali lui. Il trattamento che gli aveva riservato il fattore sembrava di tutto riguardo in confronto a quello che aveva dai nativi: lo costrinsero a cacciare e vedersela con ogni genere di bestia per poter mangiare, ma di ciò che prendeva non mangiava quasi niente e quindi era costretto a sfamarsi con tuberi, radici, funghi e frutti selvatici, gli insegnarono il loro idioma a suon di bastonate, lo addestrarono alla lotta picchiandolo e umiliandolo ogni giorno e guai a piangere, perché avrebbero raddoppiato i maltrattamenti, gli insegnarono a tendere l’arco e usare il coltello. Alla fine per sopravvivere imparò bene le lezioni e divenne così abile e forte da spaventare gli stessi sioux che di conseguenza evitavano di averselo vicino. Forse fu per quel motivo che lo vendettero ad una banda di criminali capitanata da un certo Joe Morrison e secondariamente da un brigante di nome Al Dawson. Pensava di dover ricevere altre “lezioni” da quei banditi, invece scoprì che quegli uomini erano attratti dalle sue particolari abilità di indiano bianco, ed erano in parte simili a lui,: alcuni erano stati abbandonati dalle famiglie, altri rovinati dai debiti, altri erano solo bastardi. Il capo in particolare nutriva simpatia per lui, gli insegnò la lingua materna che aveva in parte dimenticato, e ad usare le armi da fuoco, dandogli un addestramento così raffinato da farlo diventare uno dei migliori tiratori al suo servizio. Il suo battesimo del fuoco era stata la sua prima rapina in una cittadina dove abitava uno sceriffo di nome Mark Sherman che aveva fama di essere un abile pistolero, lo sconfisse a duello mentre i suoi compagni seminavano il terrore e  lo uccise rimediandoci però lo sfregio sul volto. Stranamente rimase turbato da ciò che aveva appena fatto, ed ebbe come un tremolo per una settimana, ma i suoi compagni lo acclamavano come un eroe e ciò lo rendeva felice. Fu allora che divenne noto come lo Sfregiato presso i bianchi, mentre gli indiani lo chiamavano Mangusta, lui invece si ricordava ancora il suo nome di battesimo: Thomas Dalton. Lo spregiudicato Joe Morrison si rese presto conto dell’ investimento che aveva fatto ad arruolare la Mangusta nella sua banda, egli infatti sapeva riconoscere le tracce lasciate da qualunque uomo o animale e sapeva coprire le sue, conosceva i metodi di caccia degli indiani incluso quando cacciavano uomini e preveniva le loro mosse, aveva un’astuzia e una forza straordinarie in aggiunta alla sua bravura da pistolero, conosceva le erbe medicinali, i funghi e le radici, quindi era in grado di preparare medicine e veleni efficacissimi. Presto la Mangusta divenne la guida della banda e nessuno si muoveva senza un suo segnale, con lui la banda dei Lupi Neri divenne in grado di terrorizzare persino le più feroci tribù indiane, lo sfregiato infatti non aveva paura di nulla e nessuno, e ovunque passasse lasciava sempre una A incisa, A come anarchia, l’unico valore nel quale aveva imparato a credere. Quando c’era da misurarsi in combattimento era il primo, se la cavava sempre con le armi da fuoco ma preferiva spesso disarmare i nemici con la frusta e affrontarli a mani nude. Li “scarinava” sempre ma non li uccideva quasi mai, perchè c’era in lui il desiderio di terrorizzare gli avversari, per imprimere in loro il ricordo di se, perciò il più delle volte si limitava a menomarle gravemente. A ucciderle con grande gioia era invece il capo che non lasciava mai sopravvivere un nemico che lo incontrava, lui aveva notato che c’era qualcosa che non andava in Tom nonostante la sua bravura e la cosa in un certo modo lo preoccupava. Ma finché ci sarebbe stato lui a capo del gruppo Tom non avrebbe commesso sbagli. Ad essere invece assai scontento di come andassero le cose era Dawson, perché da quando la Mangusta aveva preso piede lui si sentiva messo in secondo piano, e quindi provava rancore nei confronti di Tom. Un giorno i Lupi Neri si trovavano nel Minnesota, Il capo ebbe l’idea di dividere la banda in due gruppi, fissò un luogo per il ritrovo e partì con alcuni uomini. Tom rimase insieme ad Al Dawson e altri tre compagni.  arrivarono in una cittadina dove rapinarono una banca e fecero un grosso bottino. A rendere innocuo lo sceriffo ci aveva pensato Tom come al solito, arrivando fulmineamente su di lui senza che questi se ne accorgesse, frastornandolo e legandolo. Per sua fortuna non venne ucciso perché il capo non era con la banda quel giorno e Tom ebbe la libertà di proibirlo. Dopo aver racimolato gioielli, denaro, cibarie, e altri generi i banditi fuggirono, stavolta però avevano rapito anche 2 persone, due giovani e avvenenti ragazze. Si chiamavano Rachel Hudson e Grace Fraser, la prima era proprio la figlia dello sceriffo, la seconda era figlia del farmacista. Quando Tom le vide rimase allibito, e restò di sasso quando sentì cosa volevano fare loro i compagni: (le avrebbero usate come svago quella notte, e poi le avrebbero portate in Messico e vendute a dei protettori.) Non avrebbero avuto nessuna possibilità di rivedere le loro case. Una specie di brivido corse sulla schiena di Tom, Stranamente sentiva di non poter tollerare quell’azione. Per tutto il giorno non fece che pensare al da farsi, domandandosi anche “perché dovrebbe importarne qualcosa a una canaglia come me”?, Poi verso il tramonto qualcosa di umano prevalse in lui e decise di farle fuggire con uno stratagemma. Mentre i suoi compagni erano distratti Tom Allentò le corde e passò nelle mani di  Rachel un coltello, sussurrandole di usarlo al momento giusto. I due si guardarono negli occhi, Tom contemplò Rachel notando che era bellissima ”lunghi e ondulati capelli neri con riflessi dorati, occhi blu, incarnato mediterraneo, labbra grandi e rosse” Anche lei lo guardò negli occhi e vide una scintilla di umanità, una dolcezza e compassione che mai avrebbe sospettato potessero nascondersi in un bandito dalla fama tanto terribile, e per un attimo fu come se si fosse sentita tra le braccia di un fratello, anche se sapeva bene chi davvero era quell’uomo. Gettati nella boscaglia, e striscia come una serpe  finché non avrai aggirato il valico delle lacrime. C’è un sentiero che taglia a destra, corri a perdifiato perché vi uccideranno, le disse con tono duro. Quello che Tom non sapeva era che Dawson lo stava spiando e aveva capito tutto, egli cercava da tempo di eliminare la Mangusta e aveva bisogno di un pretesto, adesso aveva deciso di addentare il boccone. Tom incurante di questo allontanò gli altri compagni compreso Dawson “il quale diceva di voler cercare funghi” e lasciò le ragazze in compagnia di un uomo che sapeva essere un depravato . Di fatti quel porco una volta solo si slanciò subito su Rachel, ma la ragazza essendo già libera lo pugnalò al ventre, liberò la compagna e scappò di filato come Tom le aveva detto di fare. Dopo un’ora Tom e gli altri ritornarono e videro la sentinella che rantolava ferita al suolo, e Dawson con le 2 ragazze pestate e ancora prigioniere. Dawson disse: lo sapevo Tom che volevi tradirci tutti. Tom si sentì gelare il sangue e sentì anche un botto e un dolore lancinante al fianco destro e cadde al suolo. I compagni erano stati avvertiti e uno di loro gli aveva sparato alle spalle. Dawson proseguì: ma chi te l’ha fatto fare di inguaiarti per queste due, non sono tue parenti! Non sapevi che da tempo non ti sopportavo più e volevo farti la pelle? Tradendoci me ne hai fornito l’ occasione. Indi i compagni cominciarono a pestarlo selvaggiamente, Dawson gli strappò la collana e dopo avergli detto che aveva finito di rompere le scatole lo precipitò da un dirupo. Era la fine del famoso sfregiato. Nell’ intento di fare una carineria al capo Dawson non permise ai compagni di toccare le ragazze perché fosse lui a “collaudarle” per primo, in compenso le pestò ancora. L’indomani la banda si ricongiunse nel luogo prestabilito, vicino una meravigliosa cascata. Il capo notò subito l’assenza di Tom e ne chiese spiegazioni, così Al gli raccontò tutto per fila e per segno. Quando seppe cosa era successo il capo montò su tutte le furie, bastonò Dawson e gli gridò: “Deficiente, come ti sei permesso di agire senza il mio consenso, dovevi mandare qualcuno ad avvisarmi del suo sbaglio e ci avrei pensato io! Quell’uomo poteva ancora tornarci utile ed in ogni caso devo decidere io di voi! Hai eliminato uno dei miei migliori uomini per una tua rivalità personale, augurati che sia davvero morto, sennò non avrà pace fin quando non si sarà vendicato. Ora toccherà a te fare il suo lavoro voglio vedere se ce la farai. Dopo la sfuriata il capo si accinse a sperimentare le due ragazze, “ora meno attraenti per le percosse ricevute” quando improvvisamente tanti spari risuonarono nell’aria, e alcuni colpirono i banditi. Era lo sceriffo che Tom aveva risparmiato, insieme ad alcuni uomini del villaggio, infuriati per la rapina, li aveva seguiti e aveva approfittato della confusione per attaccare. A cavallo con lui c’era proprio Tom, ferito e sanguinante, lo sceriffo lo aveva trovato in fin di vita e lui aveva accettato di collaborare per vendicarsi. Subito i banditi risposero al fuoco ma il capo fu colpito e cadde al suolo come morto, e insieme a lui molti altri, così fu proprio Dawson a prendere in mano la situazione, rispondendo al fuoco e tentando di scappare. Ma lo sceriffo non glielo permise e gli sparò alla coscia impedendogli di muoversi. Nella rabbia Dawson puntò la pistola verso Rachel che si trovava sull’orlo della cascata per ucciderla e sparò, ma il proiettile non raggiunse la ragazza perché si fermò sul petto di Tom, che avendo visto quanto succedeva si parò a sua protezione. Rachel osservò esterefatta Tom che cadde proprio sul ciglio della  cascata, ma ebbe il tempo di afferrarlo per una mano. La forza della ragazza che oltretutto era in pessime condizioni, non era sufficiente a trattenere quel peso, che quindi stava per precipitare. Tieniti gli urlò disperata, e lo guardò di nuovo negli occhi, stavolta limpidi e privi di qualsiasi malizia, ma offuscati dal velo della morte. Perdonami, a nome di tutti, disse lui prima di precipitare nelle acque. Dawson stava per sparare alla ragazza, ma un proiettile sparato dallo sceriffo lo colpì al cranio e lo freddò. I banditi ancora in vita scapparono tutti, compreso Morrison che si era finto morto per poter scappare. Rachel tornò al suo villaggio insieme alla compagna e al padre, anche se  le ci vollero mesi per riprendersi dal terrore di quei giorni. Portava sempre un braccialetto di fattura indiana come unico ricordo dell’uomo che le aveva salvato la vita, “le era rimasto in mano quando lo sfregiato era caduto”. Era un bandito terribile e temuto, ma nel profondo era molto umano, ed era toccato proprio a lei scoprirlo.




giovedì 23 maggio 2013

Music Compilation 2009 by D.J. Costino.



Music compilation 2009 

By D.J. Costino


In esclusiva da D.J. Costino per Millo ecco a voi una compilation delle canzoni più amate nell’anno 2009.  Se amate la musica del passato e sapete come realizzare un audio cd utilizzate questa compilation, non ne rimarrete delusi! La compilation può essere trascritta su cd o dvd da chiunque abbia le dovute competenze, ma il progetto originale resta una proprietà riservata di Millo.



Kerly Walkin on air



Pink Please don't leave me



J. Morrison/ Furtado Broken strings



Empire of the sun Walkin on a dream



Lily Allen Not Fair



The Killers Human


Bob Sinclair Lala Song


David Guetta  When love takes over





Mika we Are Golden


Beyoncè Halo



Ne Yo Nobody


Madonna Celebration


Gotta feeling black eyed peas


Lady Gaga Bad Romance



Rihanna Russian Roulette


Shakira She Wolf


Noemi/ Fiorella L'amore si odia




mercoledì 16 gennaio 2013

La furia del titano- parte seconda



 I cavalieri fatei rimasero ammirati dalle parole del re, riconoscendo in lui il degno rampollo della sua nobilissima dinastia, si strinsero a lui promettendogli protezione e cura e incoraggiandolo sulla vittoria; mentre il re, con le lacrime agli occhi serrò i ranghi  e dispose il suo esercito per la battaglia dicendo a se stesso: Comunque vada a finire oggi, sorte o morte per il mio popolo, è certo che io morirò. Mia amata Glorinda,  figlio mio, mia gente io non vi rivedrò più.  L’esercito di Esmelia era pronto alla battaglia, Sedrenar era stato scelto per comandare le truppe, mentre Mircas era stato affiancato al re per proteggerlo. Al segnale di inzio Armares emise un terribile ruggito che fece entrare i soldati di Merovis in una specie di torpore, paralizzandoli, e così lanciò per primo la sua carica. Ma Sedrenar suonò il suo corno fantasma, accompagnato dalle trombe dei suoi generali, spezzando l’incantesimo del mostro e gridando: Non lasciatevi rimbecillire dai poteri di quel gatto malcresciuto, rispedite le sue orride bestie nell’abisso, attaccatelo senza guardarlo direttamente negli occhi e vincerete. Malgrado la carica devastante dei mostri e animali di Armares, la loro furia e famelica ferocia, l’esercito di Merovis interamente composto da professionisti non si fece scompaginare, e trattenne il nemico. Furioso Armares Gridò: Chi credete di essere figli dell’uomo? Siete polvere e morirete.  Io vivrò in eterno e vedrò passare le ere. Voi non potete contrastarmi.  Così dicendo sputò un fiume di fiamme contro la formazione rivale, bruciando alcuni soldati  e causando un cedimento delle prime file con conseguente vantaggio delle sue truppe. Allora Sedrenar decise di usare la sua specialità: la deviazione spettrale, un potere che consentiva di respingere gli attacchi avversari, così respinse un secondo assalto infuocato di Armares lasciando illesi gli uomini di Esmelia, poi con un contingente di cavalieri si lanciò all’attacco e aiutato dalla sua telecinesi riuscì a travolgere i demoni e i karvezi che attaccavano.  Lo stesso Merovis, sostenuto da Mircas si lanciò alla riscossa con i suoi cavalieri attaccando le bestie selvagge e i feroci travestiti dell’esercito nemico, riuscendo a farli indietreggiare  ma uno dei più terribili generali Karvezi, di nome Sylgar si parò contro di lui e lo attaccò dicendogli: Non penserai davvero di essere così forte da vincere noi Karvezi, che sin dalla più tenera età siamo abituati a batterci per sopravvivere. Vieni, vediamo quanto vale il re di Esmelia.  Sylgar disarcionò Merovis e uccise il suo fidato destriero provocando nel re un pianto addolorato, poi lo attaccò direttamente, lo mise in difficoltà e lo sconfisse. Mettendo la sua spada al collo di Merovis e sputandogli in faccia disse: Ho sempre desiderato uccidere un re, io stesso darò il tuo bastardo  e quella puttana di tua moglie in pasto ad Armares, estinguendo così la tua lurida stirpe. Addio re dei deficienti esmeliti. Ma prima che potesse calare il colpo di grazia venne travolto e fatto volare via dallo splendente unicorno fantasma di Mircas. Lo stregone guerriero scendendo a piedi si rivolse al nemico dicendo: Vieni infame schiavo di un mostro, ti mostrerò che il re ha dei validi difensori che lo proteggeranno ad ogni costo. Non ho bisogno dei miei poteri per fronteggiarti, ti combatterò da uomo.  Così dicendo prese da terra una spada  e si avventò  contro Sylgar e ingaggiando un terribile duello, dopo aver preso calci, pugni, sputi e oltraggi, riuscì a vincerlo atterrandolo. Il cavaliere fateo disse: Vorrei poterti risparmiare Sylgar, non sporcarmi le mani con te, ma vedi una necessità più grande delle mie preferenze mi costringe a distruggerti, così lo decapitò, pur disgustato da ciò che faceva. Il re di Esmelia rialzandosi a fatica, ancora in lacrime per l'oltraggio patito esclamò: Ah fossi tu, Mircas, nato re al posto mio! Il regno sarebbe in mani migliori. Mircas lo sgridò: Non dite così, io credo in voi e so che troverete la forza regale propria dei vostri antenati per proteggere il vostro regno. Noi cavalieri fatei abbiamo giurato di difendere gli indifesi, siamo sacrificabili in ragione della nostra missione, voi invece e sopratutto il vostro popolo non lo siete. Il regno di Esmelia deve resistere. Mentre il cavaliere fateo finiva di parlare, gli animali al seguito di Armares diedero una nuova devastante carica, riuscendo a travolgere e distruggere un battaglione di cavalieri e arrivando fin dove si trovava il re. Mircas prese Merovis sul suo splendente Unicorno fantasma e inziò a correre via per metterlo al sicuro. Frattanto Armares si sforzava di distruggere l'esercito di Esmelia, squartando tutti i cavalieri che lo aggredivano. Chiunque lo guardava negli occhi perdeva il senno per il potere malefico che da lui promanava: Alfine, stanco degli umani, tentò un attaccò terribile per sbarazzarsi dei nemico, concentrò il suo soffio ardente in una sfera di energia, una Bomba diabolica di immane potenza che lanciò contro i suoi oppositori. In preda al terrore Sedrenar concentrò al massimo la sua deviazione telecinetica, e con gran sforzo riuscì a respingere la sfera, facendola deflagrare in aria con uno spaventoso turbinio di fuoco che terrorizzò entrambe le fazioni. Armares rimase notevolmente contrariato di ciò, pensando che doveva escogitare un modo per sbarazzarsi di uno scocciatore come Sedrenar, finchè il suo occhio malvagio inquadrò Mircas che teneva al sicuro Merovis. Fu allora che pensò: Caro il mio reuccio tu non mi sfuggirai! Forse posso prendere due piccioni con una fava e quindi vincere questo scontro. Indi gridò a Sedrenar: Guarda bene laggiù cavaliere, il tuo collega tiene al riparo un ritardato che si spaccia re, ma non per molto. Poi con la sua coda prese bene la mira e lanciò un fulmine che colpì in pieno Mircas, distruggendo il suo unicorno fantasma e facendolo volare in aria, insieme al re, di vari metri. Sedrenar si mise le mani nei capelli, pensando che poteva essere accaduto l'rreparabile, ma il fiero nemico approfittò di questa sua distrazione per travolgerlo con  una zampata e metterlo così fuori causa. Poi Armares gridò: Adesso uomini conoscerete il potere dei titani, indi si mise a girare vorticosamente su se stesso sputando fuoco e formando così un uragano infuocato che usò per incenerire una intera guarnigione. Gli uomini fuggirono terrorizzati e le truppe di Armares ne approfittarono per inseguirli, accerchiarli e massacrarli senza pietà. Il re Merovis, rimasto illeso, si rialzò e pensò di mettersi al riparo, ma quando il suo sguardo si posò su Mircas esanime e ferito, ripensò alle parole del cavaliere: Io nutro fiducia in voi, so che troverete la forza di proteggere il vostro popolo. Non sentendosi di abbandonare quel paladino al suo destino, il re lo prese in spalla e cominciò a trascinarlo, tentando di metterlo in salvo. Subito però numerosi mostri lo accerchiarono impedendogli di fuggire. Il re tentò di combatterli, ma le demoniache creature lo sopraffecero e lo pestarono tutte insieme, ma prima che potessero sbranarlo furono trafitte da una raffica di lance fantasma. Sedrenar si era ripreso ed era giunto in difesa del re. Merovis non ebbe però il tempo gioire, perchè si trovò davanti Armares in persona che lo stordì con il suo sguardo penetrante. Il perfido mostro disse: Allora grande re, non hai voluto sottometterti di tua volontà, ti sottometterò io adesso con il mio potere; ti farò diventare un demone e ti farò uccidere la tua stessa famiglia, ma ti lascerò un barlume di coscienza per farti soffrire. Ti assicuro che avrò cura di farti diventare lo schifo della vita. La frase di Armares fu interrotta da un ordine imperioso di Sedrenar, che brandiva contro il titano una specie di balestra di luce iridescente: Fermati infame creatura! Guarda le mie mani, non riconosci quest'incantesimo? E' l'arco delle sette luci, l'arma che ha annientato tuo padre Zernames. Osa fare qualcosa al mio re e la userò su di te uccidendoti. Anzi, prendi la tua armata e vattene di qui, non c'è nulla per te ad Esmelia
Il demone, per nulla intimorito rispose: Citando la sorte di mio padre non fai che incentivare il mio furore. Forza cavaliere dei miei stivali, usa quell'arma, non la temo. Sedrenar non si fece ripetere l'ordine e lanciò l'arco delle sette luci contro Armares, ma questi, circondandosi di un'aura luminosa e incrociando l'ascia e la spada a mò di scudo gridò: Urlo del titano! E così respinse l'arco delle sette luci restando illeso. Sedrenar rimase attonito e cadendo in ginocchio esclamò: Come è possibile? Come hai fatto brutto mostro a salvarti? Non ci posso credere
Armares gli rispose: Davvero pensavi che un titano potesse essere sconfitto dai vostri giochetti? L'unico errore di mio padre è stato lasciarsi distrarre da un giocoliere senza aver lasciato morto abbastanza il suo compagno. Siccome questo non è il mio caso il tuo giochino non ha avuto effetto. Avete fatto male a persuadere il re ad opporsi a me, vedi adesso coi tuoi occhi ciò che succede. Allora grande re, dove eravamo rimasti? Ah si, sto per trasformarti nello schifo della vita. Rassegnati a subire la tua sorte. In quel momento Merovis ripensò al suo regno, alle mansioni cui era stato preparato sin da bambino, alla sua famiglia, al suo popolo. Doveva veramente finire tutto in quel modo? Era quello il destino? Forse si, ma lui non poteva accettarlo, non voleva accettarlo. Decise di opporsi a tutti i costi, quindi presa una fionda e dei sassi disse: Adesso Armares ti dimostrerò quanto è grande il potere di un solo uomo, così dicendo colpì il mostro nei malefici occhi, causandogli una cecità temporanea, quindi prese la sua spada, e lesto come una mangusta, prima gli tagliò l'alluce del piede sinistro, poi scivolando tra le sue gambe gli mozzò l'estremità della coda. Armares urlò contorcendosi dal dolore, provocando un gran terrore nei suoi mostri e seguaci. Fu allora che Merovis incitò i suoi soldati gridando: Uomini, liberi siete nati e tali dovete morire. Queste creature hanno tutte un punto debole e non sono affatto immortali, combattete! Con slancio i cavalieri di Esmelia si lanciarono sui nemici, rispondendo all'ordine del re e reagendo all'accerchiamento. Sedrenar si rialzò commosso e risvegliò Mircas dicendogli: Vedi amico, il re ha trovato se stesso, sta contrastando Armares riuscendo dove io ho fallito
Ma Armares ripresosi dall'accecamento gridò: Te la farò pagare pupazzo di carta stagnola, ora vedrai che ti farò
Sedrenar però gli gridò: Prima di fare qualcosa al re devi vedertela con me. Adesso so che vale la pena combattere per il bene degli uomini perchè il re che sono stato inviato ad aiutare ha finalmente trovato la forza di comportarsi degnamente. Adesso ho la forza di combatterti e rispedirti da dove sei venuto
Armares furioso gridò: Sarò io a spazzarvi via, tutti quanti siete. Vi pentirete di avermi contrastato! E più potente che mai preparò il suo urlo del titano. Sedrenar, dal canto suo, reagì subito preaparando l'arco delle sette luci. I due lanciarono contemporaneamente i loro incantesimi più forti, ma stavolta, dopo un duro scontro, Sedrenar riuscì a prevalere, spezzando l'ascia e la spada di Armares e facendolo volare per aria. Merovis e Mircas rimasero esterefatti dalla terribile potenza del cavaliere fateo, il quale poi disse: Armares, hai perso, adesso prendi la tua armata e lascia stare Esmelia.

Armares si rialzò e richiamando i suoi seguaci battè in ritirata. Il regno di Esmelia era salvo, tutti i cavalieri, Il re e Mircas presero a piangere di gioia per aver scongiurato uno dei pericoli più mortali nel nondo di Anec. Il re fece per abbracciare Sedrenar, ma quando lo sfiorò questi si sbriciolò sotto i suoi occhi attoniti in cenere finissima. Il terribile attacco di Armares lo aveva comunque colpito a morte, nonostante la sua potenza. Il re ritornò al suo palazzo con il resto delle sue truppe, riabbracciò la moglie e sollevò gioioso il suo piccolo per aria, aveva strovato la forza di salvare la sua gente, ma non immaginava che in futuro la notte sarebbe comunque scesa sul suo regno, che un vendicatore spietato, in tutto simile agli eroi che lo avevano difeso, gli avrebbe fatto pagare l'aver salvato il suo popolo dalla schiavitù. Dopo un mese di lutto per Sedrenar e tutti i morti del paese. chiamò a se un bel bambino di 10 anni, con capelli scuri e profondi occhi blu, di nome Adenar, dicendogli: Piccolo mio, io ti faccio duca del regno di Esmelia. Un giorno sarai tu a difenderci dalle future rovine che ci colpiranno, come ha fatto tuo padre, perciò cresci forte e sano. Quanto ad Armares?  Nel suo oscuro rifugio, non sopportando di essere stato battuto dal solo coraggio di un uomo, giurò sull'inquieto spirito del padre di vendicarsi appena gli fosse stato possibile, predestinando così il fato dell'infelice re Merovis.
  Ecco come si conclude alla fine la storia:
L'invasione del regno di Esmelia 

domenica 13 gennaio 2013

La furia del Titano- prima parte



In una bella e fertile vallata, ai confini con una maestosa catena montuosa, circondata da larghi campi fioriti e specchi d'acqua, sorgeva la bellissima città di Esmelia, capitale dell'omonimo e prestigioso regno. La città aveva una solida e imponente cinta muraria, fatta di una particolare pietra che rassomigliava al marmo prismatico e che la faceva risplendere di un fulgido chiarore sia il giorno che la notte, era di dimensioni contenute, ma non piccola. Il suo cuore era il grande palazzo reale, che stava al centro di una grande piazza, circondato da templi, fontane, edifici amministrativi, un grande museo e le magnifiche case dei nobili. Tutt'intorno, a livello più basso, stavano sei quartieri, ognuno dei quali non troppo grande e più semplice rispetto al complesso centrale, ma comunque fatto da belli edifici sia privati che pubblici larghe e ordinate vie adornate da alberi, negozi e botteghe varie. Tutti gli edifici pubblici e il palazzo reale erano fatti della stessa pietra usata per le mura, le case del popolo e le vie erano di una bella e linda pietra bianca, oltre che in legno. La grande porta principale era in legno e ottone dorato. ai lati di questa, in fila lungo un viale che conduceva alla città, c'erano la statue dei re che avevano governato la città, i re della dinastia degli Emerovei, che avevano creato quel regno. In lontananza, come a precludere la strada verso la grande città, c'era il piccolo villaggio di Venner, fatto di edifici semplici ma ordinato e grazioso. Il popolo del regno di Esmelia, a dispetto della sua prosperità, era in agitazione e il villaggio era stato evacuato, perchè si doveva fronteggiare l'invasione di Armares, spietato e potente tiranno figlio di un Titano. La grande porta della città si aprì, e ne uscì un nutrito contingente di cavalieri e fanti guidati da un giovane uomo rivestito di una fulgida armatura con ricami d'oro e una bella tunica rossa e blu, questi era il re di Esmelia Merovis. Era un uomo non troppo alto, giovane, con corti ma folti capelli biondi, carnagione chiara e occhi azzurri. Appariva sicuro e baldanzoso, ma i suoi occhi tradivano una grande inquietudine. Nei pressi di Venner il contingente si unì ad altre truppe di soldati, arceri, fanti, domatori di bestie, inviati dai re dei regni alleati. Si costituì così un esercito in apparenza forte e ben equipaggiato. L'esercito si mosse al comando di Merovis e attraversò campi e pianure fino a che arrivò ai confini del regno, davanti ad una grande collina dietro la quale proveniva un rumore indistinto come di zoccoli di cavalli, marce di soldati, barriti e ruggiti e un vociare chiassoso. Poco dopo un'apparizione terrifica e surreale si presentò all'esercito di Esmelia, la congrega infernale, una moltitudine di uomini, animali selvaggi e mostri dei più strani tipi che scendevano dalla collina in assetto di guerra. I sentimenti che quella marmaglia assortita suscitava nel cuore dei soldati spaziavano dall'orrore al comico. Merovis osservò bene i componenti di quello strano esercito, vedendo in esso prima di tutto mostri di tipologia variegata: uomini coccodrillo con la loro grande testa, coda da rettile e sibilante lingua biforcuta, orchi dall'aspetto deforme e marcescente, creature dall'aspetto barocco e grottesco senza testa e con un gran viso stampato nel nudo torso. specie di ballerine armate di spada, con tanto di tutù e scarpine, ma con testa scheletrica e piccola, zombi che sembravano cadaveri scorticati. Poi c'erano anche animali selvaggi e feroci di ogni fatta: orsi, lupi, leoni e tigri, elefanti, giraffe, grossi gorilla, leopardi, linci e ippopotami. Infine c'erano anche gli uomini: alcuni sembravano di etnia Karveza, abbigliati con le loro caratteristiche vesti, altri ancora erano di altra etnia e armamento. C'erano addirittura uomini travestiti da donna, finemente truccati e acconciati, vestiti con abiti sgargianti, che avanzavano intonando canzoni volgari e brandivano mazze dalla forma fallica e scudi a forma di vulva, che sbattevano le une contro gli altri come a simboleggiare il coito. C'erano infine donne vestite da uomini, che sotto un corpetto di metallo avevano capelli corti, vesti maschili, baffi finti e copricapo a coppola. Un orrido e grottesco carnevale del male che avanzava sicuro verso l'esercito di Esmelia. Al vedere tanta informe follia le truppe di Merovis ebbero un sussulto d'orrore, alcuni vomitavano, altri imprecavano, altri ancora piangevano o ridevano, lo stesso re perse la sua apparente sicurezza rivelando il suo reale stato d'animo con il pallore e i fremiti. Ma ad un tratto si levò una voce possente che disse: Non perdetevi d'animo, contrastate quest'ammasso di bestiale follia in nome della libertà. Fra i soldati di Merovis si fece strada come una specie di luce che si avviava verso il re, erano due bei cavalieri fatei che cavalcavano splendidi unicorni fantasma. Erano di quella particolare razza di guerrireri maghi nati ufficialmente per proteggere gli uomini dai pericoli più gravi. I due in questione si chiamavano Sedrenar Mellit e Mircas tennent, il primo più maturo, aveva capelli fulvo castano di lunghezza media, occhi blu, e alta statura, il secondo, più giovane, aveva capelli biondi e mossi medio lunghi, occhi castani e statura più bassa. I cavalieri magici si accostarono al re dicendogli: Non temete maestà, siamo venuti a sostenervi. Il re rispose: Maestri di magia buona portateci aiuto, fate qualcosa, perchè le porte dell'inferno si sono aperte vomitando i loro orrori contro di noi. I cavalieri dissero: Maestà, non temete il nemico, ma ciò che può fare al vostro regno. Ricordate che siete re figlio di re, appartenente alla gloriosa dinastia degli Emerovei. Quanto a noi, metteremo a vostra disposizione le nostre arti per donarvi la vittoria. Improvvisamente però, un ruggito tremendo e minaccioso attirò l'attenzione di tutti. In mezzo alla congrega infernale si fece strada una figura gigantesca avvolta da un lungo manto e cappuccio che poi si tolse e gettò via rivelando chi davvero era: Armares in tutta la sua bestiale potenza si era messo alla guida del suo esercito. Era questi un gigantesco uomo leone alto almeno 8 metri, con una criniera fulva con strisce blu, che incorniciava un muso feroce e zannuto. Il suo corpo, pur essendo umanoide, aveva comunque pelo e artigli leonini, vestiva una specie di panoplia, composta da una corazza scintillante e decorata, bracciali e schinieri ed una tunica violacea che dal busto scendeva sino alle ginocchia, aveva anche una coda blu, con una estremità che rifulgeva di una luce elettrica. I suoi occhi erano fiammeggianti di una sinistra luce giallo-verde, e davano l'impressione di poter trafiggere ciò che fissavano. Il titano si mise a guardare lo schieramento nemico, compiaciuto del terrore che incuteva.  I due cavalieri fatei, esterefatti dal sinistro potere emanato dal personaggio esclamarono: Per la gloria del Sole Invitto! Mentre Merovis si sentì mancare dalla paura, e accasciandosi sul suo bianco destriero iniziò a pregare e ansimare. Guardando la possente figura del titano Mircas disse ammirato: Armares, figlio di Zernames signore delle bestie, nipote di Vardas il gigante fantasma iniziatore del nostro ordine, di Zelgadia Titanide della luna e di Zerdas gigante demolitore di monti, di Veesnar drago mangia uomini. Uno dei nemici più terribili e difficili da affrontare. Visibilmente scosso dal terrore il re si appoggiò tremante a Sedrenar e iniziò a lamentarsi accoratamente: Mio Dio! Io sono giovane, troppo per questo; ho 23 anni ed è da appena 2 anni che sono salito al trono. Quella orrenda bestia è venuta per cavarmi l’anima fuori dal corpo e distruggere il mio regno.  Il destino Non avrebbe potuto essere più infame. Adirato Sedrenar rispose: Non mi pare il caso di declamare la discendenza di quel demone, ne di iniziare lamentazioni funebri. Quel mostro è in parte un uomo come noi, figlio di una donna sola e infelice che abitava nei boschi. suo nonno era un boscaiolo e sua nonna la figlia di un tessitore. Se si è potuto sconfiggere suo padre che di umano non aveva nulla, tanto più si potrà battere lui. Improvvisamente un messaggero di Armares corse verso l’esercito nemico domandando di parlare con il re, giunto davanti a lui gli disse: Merovis, il mio padrone Armares ha deciso di essere magnanimo con te, di farti vivere per sempre e di lasciare sopravvivere il tuo regno. In cambio però tu devi sottometterti ed ottemperare ad alcune condizioni: dovrai donare a lui ogni anno i due terzi dell’oro e dei raccolti, dargli in pasto il tuo figlioletto primogenito, lasciargli prendere uomini, donne e bambini come schiavi ed entrare nella tua città con una catena d’oro al collo, condotto dal mio signore. Se accetterai nessuno toccherà il tuo regno e il mio padrone ti donerà l’immortalità, non invecchierai né morirai mai, né per malattia né per spada. Se rifiuterai tu e tutto il tuo popolo sarete votati alla distruzione oggi stesso. A te la scelta. Merovis, al sentire quelle condizioni si sentì inorridire e d’istinto si voltò verso Sedrenar. Il cavaliere fateo gli disse: E così quel mostro è venuto per ridurre il tuo popolo alla miseria e schiavitù, per fare di te il suo zerbino e divorare tuo figlio, e per giunta maschera tutto questo con la magnanimità? Non lasciarti ingannare, coloro che da lui vengono benedetti diventano mostri a immagine e somiglianza di quei demoni che fanno parte del suo esercito, e per giunta non possono più pensare e volere per conto proprio, perdono queste facoltà divenendo totalmente soggetti a lui. Il magnifico regno ereditato dai tuoi padri, il tuo orgoglio di re, la tua anima, la carne della tua carne erede al tuo trono, tu perderesti tutto questo e ti lasceresti tramutare in un mostro per compiacere quel demonio? No, io non ci credo. Mircas intervenne dicendo: Mio re, non potete accettare queste condizioni,  sarebbero solo la rovina vostra e del vostro regno. Siate uomo risoluto e obbiettivo, dovete combattere per proteggere Esmelia, purtroppo non avete scelta. Riflettendo sulle orribili condizioni di Armares e sulle parole dei cavalieri fatei Merovis prese la sua decisione, si rivolse al messo e gli disse: Puoi dire al tuo padrone che io, Merovis Hernan Hemeroves, re della dinastia degli Emerovei non sono mai stato asservito a nessuno, né mi asservirò oggi a lui.  Se davvero vuole il mio regno, il mio popolo e mio figlio deve venire a prenderli, e potrà metterci sopra la sue luride zampe solo quando io sarò morto!  Il messo allora rispose: Così hai scelto morte, per te e tutto il tuo paese, poi si allontanò.




Storie di riferimento:
La tremenda profezia


 

venerdì 2 novembre 2012

IL CIELO DI MARTE

Ecco un articolo che ho trovato parecchio interessante






Alcune immagini Nasa mostrano un cielo rosaceo/marronato ed un tramonto blu, tuttavia altre suggeriscono che i colori possano essere più vicini a quelli del nostro pianeta. Questo articolo offre spiegazioni piuttosto plausibili.




https://aliveuniverse.today/rubriche/approfondimenti/2459-di-che-colore-e-il-cielo-di-marte-e-della-terra

sabato 13 ottobre 2012

GIORNI DI PIOGGIA



Oggi, come ieri, è stato un giorno di pioggia, Questo è un mio pensiero a riguardo.

Le nostre lacrime sono dolore per tradimenti, separazioni, sconfitte, 
che spaccano il nostro cuore.

Le lacrime del cielo sono la vita che riveste la terra di splendore
e negli uomini fan risorgere l'ardore.

Alcune volte con furia vengono versate, causano  devastazione
e agli uomini portano disastri e disperazione,

ma non dobbiamo dimenticare che senza esse nulla potrebbe germogliare
e la terra il pane non ci potrebbe donare.

giovedì 11 ottobre 2012

Anche gli scenziati vanno in paradiso



Il Paradiso esiste e io ci sono stato: un neurochirurgo di Harvard che finora aveva negato l'esistenza dell'aldilà ha riconsiderato la possibilità di una vita dopo la morte dopo sette giorni passati in coma profondo. «Nuvole bianco rosa contro un cielo azzurro, creature scintillanti che lasciavano dietro di sè scie luminose: uccelli? angeli?» avrebbero accolto nell'altro mondo Eben Alexander III, lo scienziato, che ne ha raccontato in un libro, «Proof of Heaven» (Prova del paradiso) in uscita il 23 ottobre negli Usa e di cui estratti sono stati anticipati dal settimanale Newsweek.

«Erano forme molto avanzate, forme più alte di tutto quello che conosco sulla terra», ha scritto il neurochirurgo raccontando di un canto «che veniva da sopra» e «mi chiedevo se fossero le creature alate a produrlo». Era «palpabile, quasi materiale, come una pioggia che senti sulla pelle ma che non ti bagna». Arriva una giovane donna «dalle trecce bionde e gli occhi blu» circondata da «milioni di farfalle» come «un fiume di vita che si muoveva per l'aria».

La donna parla allo scienziato: «Sei amato e apprezzato, per sempre. Non hai nulla da temere. Non c'è nulla in cui puoi sbagliare». Alexander sostiene che durante il coma, provocato da una rarissima forma di meningite batterica, la parte del suo cervello che controlla le emozioni si era «spenta» e gli aveva permesso di provare «qualcosa di così profondo che mi ha dato una ragione scientifica per credere in una forma di coscienza dopo la morte».

Pur considerandosi cristiano, Alexander non aveva mai preso sul serio i racconti di esperienze «vicine alla morte» di altri malati usciti dal coma. «Da scienziato non ci avevo mai creduto». Diverso è stato quando queste esperienze gli sono capitate in prima persona: «Capisco che possa essere incredibile. Se qualcuno, ai vecchi tempi me l'avesse raccontato, se anche fosse stato un medico, gli avrei dato del matto». Per Alexander tuttavia le visioni nei giorni del coma sono state assolutamente reali: «Concrete come qualsiasi altri evento della mia vita, come il mio matrimonio o la nascita dei miei due figli».

Halloween, origine e significato di una festa invernale.

  Ci avviciniamo a Halloween, una festa di origine statunitense, che è passata recentemente anche nei paesi latini come l'Italia ed un p...